Les Poupèes Russes (Bambole Russe)

A voler essere gentili si potrebbe fare notare quanto poco pressante fosse il bisogno di assistere al seguito de L’appartamento Spagnolo, film non troppo brutto che nelle 2002 aveva regalato anche qualche spensierato sorriso agli spettatori ed un buon successo di botteghino al regista Cedric Klapisch, bravo e furbo nello sfruttare un tema, tanto caro agli studenti di tutto il mondo, come quello dell’Erasmus. L’obiettività, però, impone di mettere da parte la gentilezza, e, allo stesso tempo, invita a dire che probabilmente sarebbe stato meglio fermarsi a quel 2002. In "Bambole Russe", infatti, il regista pecca un po’ di presunzione volendo abbandonare i toni, tra l’irriverente e la commedia, caratteristici della sua precedente pellicola, per concentrarsi su registri più alti in cui però troppo spazio viene concesso al banale ed allo scontato. Klapisch firma, così, l’ennesima pellicola dedicata alle ansie, alle insoddisfazioni ed alla perenne, almeno dal punto di vista cinematografico, incapacità dei trentenni di vivere relazioni mature e soddisfacenti. Rispetto alla storia corale del precedente capitolo, qui Kaplisch si sofferma in modo più deciso sulla vita del protagonista, il pur bravo ma non troppo espressivo Roman Duris (Xavier), scandagliando le sue esperienze professionali e sentimentali alla vigilia della immancabile rimpatriata, fatta a San Pietroburgo in occasione del matrimonio di uno dei ragazzi del gruppo. Lo sbaglio è di quelli grossi; Il film, infatti, non ha lo stesso ritmo del precedente e finisce con il risultare piuttosto incompiuto. Troppo leggero per essere una disamina attenta di un’età di cui troppo spesso il cinema abusa, ma troppo lento ed esasperatamente ricco di cerebralismi per permettere alla pellicola di correre senza intoppi lungo il suo naturale svolgimento. Incompiuta anche la metafora rappresentata dal titolo. Quelle bambole russe, meglio conosciute con il nome di matriosche, che dovrebbero rappresentare le difficoltà e le esperienze necessarie alla costruzione di un legame serio e duraturo con la donna perfetta, ammesso che esista, finiscono per rappresentare il film più per la loro statica fisicità che per il valore simbolico associatole dal regista. Trattandosi, dunque, di un’opera priva di una sua specifica identità, la noia la fa da padrona per lunghi tratti. Come se tutto questo non bastasse, arriva poi il lieto fine che, a dir la verità, volteggia sopra i poveri spettatori già dai titoli di testa. Sfruttando un linguaggio privo di vette interessanti e celando qualsiasi spunto originale dietro le lagne del protagonista, si finisce per il confezionare il tutto con quella dose di ovvietà che nulla aggiunge ma tanto toglie al valore della pellicola. Forte è l’impressione che troppo spesso ci si abbandoni alla filosofia del “sequel” senza avere le idee chiare. Se Bambole Russe doveva essere, nella mente del suo creatore, una prova di maturità, a mio avviso, il fallimento è palese. Meglio, probabilmente, sarebbe stato insistere, se proprio era necessario questo nuovo capitolo, sullo stile del primo film. Niente di trascendentale, sia chiaro, ma almeno con un suo perché.
Cast & credits:
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Cédric Klapisch; fotografia: Dominique Colin; montaggio: Francine Sandberg; musiche: Lauren Levesque, Loic Dury; interpreti: Romain Duris, Kevin Bishop, Kelly Reilly, Audrey Tautou, Cécile De France; produzione: Bruno Levy per Ce Qui Me Meut Motion Pictures, Lunar Films; origine: Francia, Gran Bretagna, 2005; distribuzione: Bim Distribution
FOTOGALLERY
