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Lezioni di cinema - Michael Mann

Pubblicato il 31 ottobre 2011 da Nicola Lazzerotti


Lezioni di cinema - Michael Mann

Anche quest’anno, come nelle passate edizioni del Festival di Roma, si è svolta la Master Class sul cinema americano, portando avanti e approfondendo “Viaggio nel cinema americano”, gli incontri tenuti da Mario Sesti e Antonio Monda per conto della Fondazione Cinema per Roma. Il grandissimo autore e regista Michael Mann è stato dunque invitato a “raccontarci” il suo CINEMA.

La scena d’apertura è quella della rapina in Thief (Strade Violente); è seguita da una scena presa da Miami Vice (il film), quella del motoscafo che ha come protagonisti Colin Farrel e Gong Lee; in coda possiamo assistere al famosissimo incontro a tavola tra De Niro e Pacino in Heat.

Subito siamo proiettati nella dimensione dei film di Mann e probabilmente in uno dei caratteri distintivi del suo cinema. Il realismo applicato nella messa in scena è “rubato” dal mondo: Mann non immagina una rapina, ma mostra in maniera documentaristica come si scassina effettivamente una cassaforte; il suo amore per il realismo gli impone una documentazione accurata e la conoscenza di persone che fattivamente si occupano delle cose che racconta. Ladri, killer seriali, poliziotti infiltrati sono categorie aliene al vivere comune, però attive e presenti nella società civile, e sono oggetto di studio - quasi antropologico aggiungiamo noi - e dunque approfondite con coscienza dall’autore.

Micheal Mann: “...un poliziotto infiltrato e una ladra non si dovrebbero innamorare, ma questo può succedere: ecco, a me interessa capire e raccontare questo!”.
Per quanto riguarda l’uso del digitale, altro carattere distintivo della recente filmografia di Mann, il regista giustifica la sua scelta proprio in virtù della possibilità tecnica che il digitale consente oggi: vedere colori e luce che in altro modo non potrebbero essere colti, andando oltre i limiti della capacità umana.
Micheal Mann: “Fare incontrare i due grandi attori e convincerli a lavorare insieme non è stato difficile, già si conoscevano e non avevano problemi; dopo tre mesi di preparazione per interpretare i personaggi loro non erano più le star, ma un poliziotto e un ladro che si confrontano, in uno stato di completa autocoscienza di sé e di totale padronanza delle loro vite”.

Il secondo blocco di clip è relativo alle sequenze della tigre in Manhunter, del coyote in Collateral e la scena del bacio tra il killer e la donna cieca, tratta nuovamente da Manhunter.

Lo stile prende forma concreta nella visione di queste scene, la musica si sovrappone alle immagini e tutto ha un senso evocativo ed emozionante. Le scelte di raccontare visivamente tutto questo esulano strettamente dallo svolgimento della storie, ma regalano ad esse una dimensione più complessa e profonda. Interessante è la seconda scena di Manhunter, di cui Micheal Mann dice: “..il Killer addomesticato dalla donna...”. Il regista vuole esprimere con queste sue parole la riconfigurazione di un ruolo definito come quello di un serial killer, e la complessità di un animo disturbato. Non c’è omogeneità o definizione, ma tutto è più sfumato e articolato. Conoscere un serial killer, incontrarlo, parlarci, studiarlo è servito a questo, a comprendere ancora una volta un universo “alieno” e irrazionale, approfondendolo nella conoscenza per meglio rappresentarlo.

Il terzo slot di clip mostra le scene tratte da L’ultimo dei Mohicani ed Heat: per la precisione la scena finale del primo e la sparatoria del secondo.

"La messa in scena dell’azione nei miei film non è mai casuale, fa parte integrante della storia. Nessuna velleità adrenalinica in queste scene, ma solo la decisione di rappresentare qualcosa di consolidato nei personaggi e nella loro realtà filmica. Ogni movimento e ogni inquadratura è predeterminata, connessa con il luogo in cui essa si svolge. C’è voluto molto a pianificare la scena di Heat: abbiamo portato i ragazzi a sparare in un campo da tiro, con proiettili veri e con veri militari; così, quando abbiamo girato, gli attori sapevano esattamente cosa aspettarsi e come muoversi. La scena è mostrata alla scuola d’addestramento della Delta Force: questo significa che abbiamo fatto un buon lavoro. Dal punto di vista della storia mi interessava mostrare lo scontro e l’efficienza di questi due professionisti, così li ho messi uno di fronte l’altro, e uno scambio di soggettive mi sembrava un modo adeguato per mettere in scena tutto ciò".

Il quarto blocco di scene è tratto da Ali (la scena dell’allenamento in Zimbabwe) e da The insider (la scena della stanza d’albergo con Russel Crowe).

"Per quel che riguarda il lavoro con gli attori io pretendo molto, i personaggi vengono prima dei loro interpreti, così le connotazioni fisiche, il background servono all’attore a calarsi e a capire il proprio ruolo, per renderlo più attinente alla storia. Per Ali è stato importante anche chiedersi che tipo di eroe Muhammad Ali volesse essere: aveva potere mediatico e lo impiegò a favore della comunità nera. Questo è stato importante per capire il personaggio da sviluppare".



LE DOMANDE DEL PUBBLICO

I suoi personaggi spesso guardano attraverso un vetro, si tratta di un’immagine evocativa ricorrente nei suoi film: da dove viene?

È vero, l’ho rubata da un quadro. Mi sembra il modo giusto di rappresentare il mondo interiore dei mie personaggi: è evocativa e molto efficace.

Com’era il suo rapporto con Brandon Tartikoff? (executive dell NBC negli anni Ottanta, colui che permise la realizzazione di Miami Vice, ndr)

Fantastico, era uno dei migliori, mi teneva le star alla larga, sapeva non intromettersi, chiedeva, firmava gli assegni e ci permetteva di fare bene il nostro lavoro. Uno dei più grandi.

Prossimi progetti?

Vorrei fare un film ambientato nel Medio Evo, ma con la mentalità del ’500, non come un film pensato nel 20° secolo. Vorrei che il punto di vista culturale fosse quello storico, un affresco di come erano le cose allora e di come si pensava allora. Tutto questo mi affascina.

La sua relazione con il colore?

Per me è una forma espressiva: altero la visione “cromatica” della realtà perché credo che possa meglio comunicare e trasmettere emozioni in maniera immediata e diretta.

Cosa pensa della tv americana?

Oggi la tv via cavo americana è sicuramente migliore del cinema: la qualità attoriale, la scrittura e la fattura in generale permettono di sperimentare e provare nuove cose. È tutto molto stimolante.

L’incontro è terminato con la presentazione del trailer dell’ultimo lavoro televisivo di Mann, Luck, una serie per la HBO.


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