Lezioni di felicità

Il confronto scatta, inevitabile: Odette Toulemonde sembra proprio un’Amélie Poulain un po’ in là con gli anni, ma ancora capace di colorare di rosa anche l’esistenza più grigia.
E qui in effetti, ben più che nello zuccheroso e brillante Montmartre del film di Jeunet, il grigiore abbonda: una cittadina belga di provincia, Charleroi, assai lontana dalle luci della Ville Lumière, un appartamento straripante di ninnoli e piume, due figli con improbabili fidanzati e, per finire, un anonimo grande magazzino dove la nostra vende trucco e parrucco, aspirando però al reparto libri.
Ma è proprio la lettura, per quanto non di classe e perfino dozzinale, a salvare Odette dal suo mondo fin troppo ordinario, a farne una Madame Bovary di segno inverso che, invece di riconoscere nella grandezza del romanzo la miseria della propria vita, si avvale della finzione come linfa vitale per accettare un’esistenza altrimenti amara.
Ed è questa forse, al di là della simpatia dell’intreccio e del mélange riuscito di musical e commedia, l’intuizione più felice dello scrittore e drammaturgo Eric-Emmanuel Schmitt (tra i suoi romanzi Monsieur Ibrahim e i fiori del corano), qui al suo debutto nella regia: quella di raccontare il ruolo salvifico dell’entertainment di scarsa qualità, ma di grande afflato, nella vita dei tout-le-monde (la maggioranza, la massa) di cui la sua Odette è la rappresentante ideale.
Un discorso, però, non privo di un certo schematismo di fondo che pare voler condannare la cultura alta – ridicolizzata tramite il critico letterario laido e disonesto – in favore di un’arte popolare, di pura evasione, per la cui fruizione non serva ‘un dizionario e un tubetto di aspirine’. Così come reazionario appare il discorso della protagonista sul ruolo della donna nella coppia, pronta a sopportare le scappatelle di un uomo, ‘per natura portato a provare altri odori’.
Ma siamo nei venti minuti finali della pellicola, quelli disfunzionali, in cui il gioco sembra sfuggire di mano all’autore, pronto a scivolare nella trappola del semi-mélo, davvero incongruo rispetto all’atmosfera generale del film, in cui Schmitt costruisce invece un universo simpatico e stralunato, ma non forzatamente accattivante.
E’ un film allegramente schizofrenico questo Lezioni di felicità, che nell’incontro tra la commessa di provincia e lo scrittore parigino di successo insoddisfatto – la cui esistenza sembra andare a rotoli in seguito a una stroncatura andata in diretta nazionale – lascia intendere uno scontro tra classi e modi di guardare alla vita ma anche tra generi cinematografici e modi di narrazione. Perché se il coté Odette dà vita a una commedia-musicale-operaia, (bizzarramente simile a certi flash morettiani da pasticcere trotskista) il racconto si fa serio e realistico quando si assiste alle vicende di Balthasar Balsan, per poi mescolare costantemente i due toni quando le strade finora parallele dei due si incrociano.
A tratti ricco di sfumature e nuance, in altri momenti troppo proteso a dimostrare la sua tesi, il piccolo film di Schmitt rivela però una sua personalità, sicuramente apprezzabile nonostante i diversi nei, tra cui il commento musicale di Nicola Piovani, che, (auto)eletto ormai a cantore della poetica umiltà quotidiana, delizia con motivetti che ci ricordano con fin troppa insistenza che la vita – anche se povera e marginale – è bella.
(Odette Toulemonde) Regia e sceneggiatura: Eric-Emmanuel Schmitt; fotografia: Carlo Varini; montaggio: Philippe Bourgueil; musica: Nicola Piovani; interpreti: Catherine Frot (Odette Toulemonde), Albert Dupontel (Balthasar Balsan) Fabrice Murgia (Rudy) Nina Drecq (Sue Ellen) ; produzione: Gaspard De Chavagnac e Romain Le Grand e Anne-Dominique Toussaint per Bel Ombre Films, Antigone Cinéma, Pathé Renn Production, TF1 Films Production Les Films de L’Etang, RTBF (Télévision Belge); distribuzione: Videa - CDE; origine: Belgio 2008; durata: 100’; web info: sito italiano
