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Libri – Segni di vita. Werner Herzog e il cinema

Pubblicato il 10 agosto 2010 da Marco Di Cesare


Libri – Segni di vita. Werner Herzog e il cinema

All’interno dell’asfittico mercato librario italiano - forse ancora più soffocante quando si parla delle collane dedicate al cinema - si sentiva l’assenza di un gigante come Werner Herzog, che tuttora non appare come uno degli oggetti del desiderio più viscerale della critica e del pubblico ’mainstream’. Ma, fortunatamente, è giunto Segni di vita. Werner Herzog e il cinema, dopo la pubblicazione de La conquista dell’inutile (diario di bordo scritto da Herzog durante la lavorazione dell’epopea di Fitzcarraldo, già introvabile sugli scaffali delle librerie), ponderoso volume che molto potrà essere di aiuto nello studio e nella comprensione di uno dei registi più importanti della modernità.
Il libro è stato realizzato da Grazia Paganelli, giovane critico cinematografico e programmatrice del Museo Nazionale del Cinema di Torino, come degno coronamento della retrospettiva (la più ampia e completa che mai sia stata dedicata al regista tedesco) presentata a Torino nel gennaio del 2008.
Dopo alcune righe di presentazione scritte da Alberto Barbera, il libro si apre in tutto il suo splendore, suddiviso fra duecento pagine che scorrono amabili, in vari capitoli che analizzano gli aspetti dell’opera del cineasta bavarese: ogni sezione è aperta da introduzioni della Paganelli, meditazioni che affrontano le tematiche dell’opera herzoghiana, toccando la formazione e i limiti dello sguardo, il lato visionario del reale, il paesaggio e il viaggio, per poi dirigersi verso la catastrofe del linguaggio, dopo essere passati dalle parti della musica e del suono, per approdare nei lidi di quella sorta di ’trilogia’ sci-fi composta da Fata Morgana, Apocalisse nel deserto e L’ignoto spazio profondo, ossia ’Il mondo dopo la fine del mondo’, per poter così tornare al momento che ha preceduto la nascita della storia e delle sue logiche convenzionali. Ogni scritto è seguito da uno stralcio di una lunga intervista con Herzog che, grazie a domande a dir poco interessanti, diviene ancora più importante per illuminarci sull’opera di un regista che ha saputo coniugare matericità e astrazione, secondo Deleuze «il più metafisico degli autori di cinema», grazie alla qualità «di porre domande che rientrano nella sfera filosofica della metafisica e per la capacità di suscitare visioni senza confini a partire anche da piccoli gesti, quasi quotidiani, tanto straordinariamente veri da suggerire, però, vastità di senso, oltre che di sguardo». Ogni tanto i nostri occhi possono pur abbandonare il testo per soffermarsi su delle fotografie provenienti dall’archivio della ’Werner Herzog Film’: fotogrammi dei film, o figure prese dalla loro lavorazione, tutte in un bianco e nero che non vuol risaltare.
In appendice si possono trovare due brevi scritti dello stesso signor Stipetic: ’Dell’assoluto, del sublime e della verità estatica’ e ’La dichiarazione del Minnesota. Verità e fatto nel cinema documentario. Lezioni di oscurità’, parole che ancor più esprimono la poetica della Verità intensificata, che può essere raggiunta solo attraverso la creazione e che non è equiparabile alla menzogna. In chiusura ci si imbatte in un altro centinaio di fotografie, l’una dietro l’altra, stupende immagini su carta patinata (che appaiono come un contraltare a quelle presenti nel testo) dalle quali emergono rivoli di realtà e di estetica sensualità, che talmente danno l’illusione di potersi immergere nel mondo herzoghiano da rasentare la possibilità di cadere nella ’Sindrome di Stendhal’.
Quello che esce fuori da Segni di vita è un ritratto a tutto tondo di un uomo che si considera un artigiano e si definisce ’innamorato del mondo’, libero da convenzioni, che non pensa per metafore, ma secondo un pensiero molto diretto: «Non ho imparato il cinema da nessuno, non ho mai fatto l’assistente né ho frequentato una scuola di cinema, ho imparato con l’approssimazione»; proprio quell’approssimazione utile a raggiungere un più elevato grado di verità, da plasmare e reinventare, così come il cinema stesso, per scoprire il limite verso cui un’immagine può essere spinta, come nel caso di Grizzly Man. Perché il cinema, e quello di Herzog in particolare, è il regno del cortocircuito emotivo e intellettuale. Ed è la sede dell’ironia e dell’assurdo.
Unica, minuscola pecca, a nostro avviso si può rintracciare nello stile dell’autrice, quando decide di non affidarsi molto alla punteggiatura di media durata, ossia il punto e virgola e, soprattutto, i due punti: da ciò ne risulta un utilizzo non sempre condivisibile delle pause, utili interruzioni nel profluvio di emozioni che ci invadono, fondamentale aiuto per la loro comprensione e contemplazione.


Autore: Grazia Paganelli
Titolo: Segni di vita. Werner Herzog e il cinema
Editore: Il Castoro
Collana: Museo Nazionale del Cinema
Dati: 322 pp, formato 21x24, 139 fotografie (43 b/n nel testo, 18 b/n fuori testo, 78 a colori fuori testo)
Anno: 2008
Prezzo: 30 €
Web info: Scheda del libro sul sito de Il Castoro


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