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Linea d’ombra 2008 - Tagliare le parti in grigio

Pubblicato il 20 aprile 2008 da Simone Isola


Linea d'ombra 2008 - Tagliare le parti in grigio

Un incidente stradale sospende le vite di tre giovani, Nadia, Paola e Massimo. Si conoscono in ospedale al loro risveglio, dopo aver lottato per giorni tra la vita e la morte senza provare alcun dolore. Non ricordano nulla dell’incidente e vivono la loro sopravvivenza quasi con struggimento. Non vogliono separarsi; desiderano riappropriarsi insieme dei loro corpi. Massimo è un docente universitario ed il suo corso è significativamente dedicato ai massacri della guerra jugoslava; le ferite personali si sommano dunque alle ferite più generali dei conflitti tra i popoli. Elemento suggestivo, ma che si affaccia solo a tratti in un percorso che convince soprattutto nei suoi risvolti più intimi.

Nadia, del terzetto, è quella che con più foga e voracità vuole recuperare il proprio corpo, con una sessualità libera da freni inibitori. La sua corsa verso il disfacimento del corpo si arresta inaspettatamente con l’omicidio di Paola, rimasta legata al bisogno primario dell’amore per Massimo (non corrisposto). Nel finale, Nadia in prigione confessa: «L’ho fatto perché l’amavo. Una come Paola, senza difese, non poteva continuare a vivere in questo mondo». La violenza su se stessi, la fuga nel dolore sembra essere per la ragazza il principale elemento di significazione dell’esistenza.

Sono chiari i riferimenti al Cronenberg di Crash, con il rito dell’incidente stradale come chiave per accedere al mondo mitico rappresentato, la sessualità mezzo per affermare la propria sopravvivenza. Le nostre convinzioni circa i bisogni primari sono autentiche o indotte, oggetto di una manipolazione?

Vittorio Rifranti firma con Tagliare le parti in grigio un film estremo, estraneo in tutto e per tutto al facile giovanilismo del nostro cinema. Ciò che più colpisce non sono solo la violenza di alcune immagini e l’estenuante fissità della macchina da presa, ma l’etica (ed estetica) del dolore in cui lentamente scivolano i tre personaggi, desiderosi attraverso le ferite e le mutilazioni di riappropriarsi del loro corpo, della loro carne, provare quel dolore che il coma ha loro negato. Un vero pugno nello stomaco, una ferita che si apre negli occhi del nostro sentire comune, basato sull’ istinto di conservazione e fuga dal dolore. Ed è significativo come tale esperienza si trasformi in arte nelle performance preparate dai tre giovani, il sangue e la carne in materiali da modellare, le ferite opere da esporre, elementi di uno spettacolo. Le interpretazioni non sono sempre convincenti, e tecnicamente il film si presenta con i limiti e le virtù dei prodotti low budget; basse qualità d’immagine e d’audio fanno dunque da pendant alla libertà espressiva e contenutistica. Un film da vedere (se avrà la fortuna di trovare una minima distribuzione), che in proiezione ha generato interesse, odio, disgusto, ripulsa, ma che non ha lasciato il minimo spazio all’indifferenza (lo prova la vivace discussione tra regista e pubblico). Un esperimento discutibile ma inusuale, una rarità per il nostro cinema, assai prudente nel battere strade inedite e fuori dai tradizionali canoni espressivi.


CAST & CREDITS

(Tagliare le parti in grigio); Regia: Vittorio Rifranti; sceneggiatura: Vittorio Rifranti; fotografia: Andrea Serafino; montaggio: Giorgio Neri; musica: David Rossato; interpreti: Micol Martínez, Isabella Tabarini, Fabrizio Rizzolo, Giorgia Wurth; produzione: Red Line. origine: Italia, 2007; durata: 93’.


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