Loli Kali Shuba - Festival dei Popoli

In concorso nella sezione mediometraggi del 54° Festival dei Popoli, Loli Kali Shuba segna il ritorno dell’ucraino Aleksandr Balagura nel villaggio rom della Transcarpazia in cui nel 1990 aveva girato il cortometraggio Widowstreet, proiettato al festival fiorentino l’anno successivo.
A fornire il titolo e l’innesco del film di Balagura è il ritornello di una filastrocca in romanì sentita durante quelle riprese. Quelle parole hanno continuato a risuonargli in testa e nell’anima fino a spingerlo a tornare sui suoi passi per scoprirne il significato e ritrovare quei luoghi ai margini e le esistenze dimenticate che li abitano, perché «certi ricordi ti seguono per tutta la vita».
Nelle stesse location in cui aveva girato allora, ritrova un bambino e una bambina, oggi trentenni. Da quelle interviste a stretto contatto con la macchina da presa che ne fissa insistentemente i volti, emergono una religiosità (nei villaggi della zona sono molto forti le comunità protestanti) e un sentimento della bellezza racchiusa nelle piccole cose, che le civiltà più avanzate sembrano aver perduto, barattandoli per un benessere solo apparente.
Se é vero, come sostiene il regista, che al cinema l’autore è sempre presente, anche quando vuole nascondersi, Balagura riesce quantomeno nel difficile intento di sospendere ogni giudizio, se non la propria presenza. Volutamente, infatti, ci mostra la comunità del villaggio per quella che è, dalle inadeguate condizioni igieniche alla poesia della filastrocca del titolo, che i bambini canticchiano per richiamare le coccinelle.
Alle immagini a colori dell’oggi (disseminate di bellissime inquadrature del paesaggio naturale circostante), fanno da contrappunto quelle in bianco e nero di ventitre anni fa, ricorrendo a un montaggio molto scarno, in modo da ridurre il più possibile la manipolazione del materiale girato. L’intento registico è infatti di non invadere quelle vite ma semplicemente starle a guardare con rispetto, per coglierne gli aspetti più quotidiani, quelli che le restituiscono alla dimensione di persone comuni e assaporare la «poesia delle cose semplici» che trasuda da quelle comunità, in cui il tempo sembra procedere con un ritmo diverso. Un documentario in senso stretto dunque, nel rispetto di una cultura che la civiltà borghese spesso fatica a comprendere e accettare. Eppure in quei villaggi di indigenti si è creata una zona franca di pacifica convivenza dove rom, russi, ucraini, ungheresi e rumeni sono riusciti a convivere in modo abbastanza armonico senza l’intervento dello Stato: una bella lezione di civiltà che molti dei cosiddetti “Paesi avanzati” devono ancora imparare.
Loli Kali Shuba è una sorta di epigramma, un delizioso breve saggio documentario, cui manca il respiro più ampio del lungometraggio per approdare alla lirica. Allora, nella misura più ampia, avrebbero forse trovato spazio anche aspetti di quelle comunità forse più prosaici, ma necessari ad ogni documentario che voglia dirsi tale.
(Loli Kali Shuba) Regia: Aleksandr Balagura; fotografia: Ivan Zotikov, Danylo Pritchenko; montaggio: Aleksandr Balagura; produzione: Inspiration Films; origine: Ucraina; durata: 52’.
