MAN TO MAN

Quest’anno la Berlinale, sembra aver scelto l’Africa come territorio privilegiato da esplorare, presentando sul tema tre film in concorso e uno (Hotel Ruanda di Terry George) come evento speciale: tra questi, Man to man del francese Régis Wargnier, che ha l’onore di aprire il festival, giunto alla sua 55° edizione. Decisione assolutamente apprezzabile e meritoria, quella di dare spazio ad un continente allo stesso tempo devastato e felice, spesso dimenticato, oppure ricordato solo con indulgenza e pietismo da Primo Mondo: decisione apprezzabile, quindi, a patto che si dia spazio ai suoi cineasti, e che l’Africa non venga ridotta solo a scenario di mega-produzioni europee. Man to man non esce dagli ambigui binari di questa tendenza, anche se cerca di nasconderla, o meglio di giustificarla, con uno spostamento temporale dell’azione nell’Ottocento. Un illuminato antropologo (il poco espressivo Fiennes), aiutato da una intraprendente trafficante in animali, cattura in Africa due pigmei e li porta con sé in Scozia per studiarli con altri due scienziati e giustificare le sue teorie secondo cui essi sono l’anello di congiunzione, il missing link, tra l’uomo e la scimmia. Li coccola come animali, ma presto si rende conto che in loro ci sono intelligenza e sentimenti e che, quindi, le sue argomentazioni non sono più valide. Ovviamente i suoi due colleghi (uno debole, l’altro cattivissimo) non ci stanno a lasciar vanificare così il loro lavoro e cercano di compiere le più infami nefandezze, in nome del progresso scientifico dell’Uomo Bianco. Uccisioni, ferimenti, amore, passione, punizione dei reprobi, ritorno in Africa alla riscoperta di se stessi. Wargnier conta nella sua scarsa filmografia un feuilleton degno di “Grand Hotel” come Indocina (1992) ma siccome perdonare è divino, avevamo deciso di archiviarlo come errore di gioventù e dargli nuova fiducia. Purtroppo si è rivelata del tutto malriposta, dato che il risultato contiene in sé tutti i peggiori difetti del colossal di stampo televisivo, a cominciare dalla presenza ingombrante sin dai titoli di testa di una musica eccessiva che deve sottolineare ogni momento critico come in un film muto, per continuare poi con personaggi assolutamente stereotipati (da cui si salva solo quello ambiguo della sempre brava Christine Scott-Thomas), una regia patinata che alterna un’Africa da cartolina alle perfette ricostruzioni di interni ottocenteschi in stile Ivory, senza sorprese, succube di una sceneggiatura di cui finisce per diventare mera illustrazione. Anche la sua morale, così riconciliatoria, così eccessivamente politically correct, secondo cui il progresso scientifico non giustifica la sopraffazione, e veri selvaggi sono i bianchi, mentre sono i pigmei i veri uomini con la loro dignità, suona tanto come il desiderio di risciacquarsi la coscienza con l’acqua di rose.
[Febbraio 2005]
regia: Régis Wargnier sceneggiatura: William Boyd, Régis Wargnier fotografia: Laurent Dailland montaggio: Yann Malcor scenografia: Michel Fessler, Frédéric Fougea musica: Patrick Doyle interpreti: Joseph Fiennes, Christine Scott-Thomas, Ian Glen, Hugo Bonneville produzione: Vertigo Productions durata: 122’ origine: Francia, Gran Bretagna, Repubblica del Sudafrica, 2004
