Maradona - La mano de Dios

La storia di Diego Armando Maradona è lunga 46 anni; il film che Marco Risi dedica all’inarrivabile talento argentino, solo un abbondante centinaio di minuti. E se si considera che la scelta del regista è quella di raccontarli tutti, questi 44, non comuni, anni, allora certe scelte erano obbligate. Da Villa Fiorito ad oggi, parlando del più grande, o del secondo più grande giocatore al mondo (il dibattito è aperto solo per alcuni ma non è percorribile in questa sede) ci sta dentro il bambino con due labbra carnose, due occhi da squalo e due sogni: “giocare il mundial e vincere il mundial”. Ci stanno dentro gli amati genitori, l’onnipresente Claudia, l’estasiato Boca, il barcà, le adorate figlie Dalma e Gianina. Poi c’è Napoli ed il Napoli, i mondiali del ’82 e dell’86: quello del Messico, riscattoso e trionfale, con la mano invisibile di Dio a beffare gli occupanti, con gli undici tocchi del raddoppio agli inglesi, prima della grandissima, oscurata, doppietta al Belgio in semifinale e della zampata in estremis, in verticale semplicità, per Burruciaga, dopo una gara normale, pochi istanti prima dei supplementari e di salire le scale da capitano per baciare in bocca la coppa. C’è Italia ’90, con due assist a Caniggia, la ferita mortale a mezza Italia e la parolaccia polemica nell’incipit della finale persa. C’è il ’94 americano, ruggente e maledetto, mortale, con un gran gol in faccia al mondo ed un dolore infinito. Ci sono la cocaina, le donne, il mal di schiena, gli amici, le camicie ed i maglioni improbabili, i chili e gli eccessi, i colori e il taglio dei capelli. Le provocazioni ai potenti, i ricoveri, Cuba, il ballo. Tante cadute: in campo, per gli attacchi degli avversari, tutte sopportate con educazione sportiva, tranne quella volta contro l’altletico, quando finì a rissa annunciata, col Pibe malconcio dal Re a chiedere scusa. Le cadute fuori dal campo, con conseguenze più gravi e più lunghe riabilitazioni. Le continue ed incredibili rinascite e poi, soprattutto, tanti, tantissimi meravigliosi, ipnotici, incredibili, magici, pedagogici gol: saporito frutto di un rapporto intimissimo con quel quoio tondo che da piccolo ingrassava e con cui, non è leggenda, andava a letto la sera. Una rete su tutte: la punizione impossibile contro la Juve, col compagno di squadra che diceva “ No Diego, da qui è impossibile anche per te”, ed in barriera, quel pomeriggio piovoso da ottantamila fortunati, per la Juve, c’era un certo Platinì. Che vide quel pallone super effettato scavalcarlo morbidamente e spegnersi oltre il volo impotente e disperato di Stefano Tacconi. Marco Risi, l’ha detto lui stesso con grande onestà, ha voluto fare un film da vendere, un film che incassasse e che gli permettesse di vivere con più serenità. Non ha fatto l’autore che azzecca un angolo particolare del Pibe: la solitudine del campione, il tallone d’achille dell’atleta, il suo rapporto con Dio, con la politica. E non ha nemmeno adoperato il personaggio per parlare d’altro, di sé magari, come autorialmente può essere. No, Marco Risi ha voluto regalare al cinema tutto Diego, tutto quello che di lui si dice e non si dice, si vede e si canta. Il campione dentro l’uomo e l’uomo dentro il personaggio, il personaggio dietro al campione e Maradona nell’immaginario collettivo. Il campione è puro cinema, da sé, basta guardarlo, consultare gli archivi, strappare ai vhs di ogni stagione i frammenti che si vuole. Il campione, l’artista, il super calciatore: sempre più bello, gommoso, col piede sinistro prensile ed i passetti eleganti da ballerino. Da vedere ancora meglio, adesso, nei multisala a schermo enorme, anche tutto il pomeriggio. L’uomo, invece, raccontato con cura e con un dolore intenso, ci arriva attraverso Marco Leonardi, già calciatore con Pupi Avati qualche annetto fa, umilmenente al fianco di un grande Ugo Tognazzi, nei panni di un Paolo Tassoni di anni 17, che nel finale di una gara salvezza forniva al cinema italiano uno degli esempi migliori di un non facile rapporto col calcio. Marco Leoanrdi è bravo, da Actor Studio per l’effetto jo jo, aiutato molto dalla verosimiglianza che il regista cerca maniacalmente. Plauso a truccatori e costumisti. Marco Risi ci ha messo tanto impegno e questo melò biografico, rapido, veloce e onnivoro ai limiti della norma, lo denuncia. Il primo grande film di finzione sul Sudaca, come lo chiamavano gli avversari più scarsi, dopo tanti, quasi sempre validi, documentari è un’opera forte, lineare, né più ne’ meno di quello che poteva essere un buon ritratto d’artigiano. C’ è equilibrio tra i vari Maradona, un bilanciamento e una collaborazione delle parti che diventa gioco articolato di piani. Ardito, anche questo tirato al limite, con frammenti brevissimi di fiction e documento, montati piccolissimi, a volte con successo e a volte meno. Le fasi di una vita e di una carriera si susseguono drasticamente, con un unico gioco di Flashback che ritorna costantemente ad una scena, “realmente accaduta”, assicura il regista, di Diego bambino, in un pozzo per recuperare il pallone. Per il resto si passa da Villa Fiorito al quartiere residenziale di Buenos Aires, col mare finalemnte a due passi; da Barcellona a Napoli attraverso un piano d’ambientazione classico e un tantino oleografico, sotto le note elettrizzanti di Je sò pazzo. I personaggi arrivano all’improvviso, di corsa, come di corsa va tutto il film, perché da raccontare c’è tanto, forse troppo. Alla fine, impressione di chi scrive, la spunta la grande sofferenza che Risi conferisce al campione e a Claudia, un dolore maggiore della felicità, in proporzione ed intensità. “Ho sempre avuto l’impressione, conscendolo per quel poco che ho potuto, che Maradona fosse un uomo solo”. Lo ha detto, anche questo chiaramente, Marco Risi ai giornalisti. Non crediamo che il regista abbia voluto privilegiare a priori questo aspetto, ma pensiamo che nell’attenzione generale allo studio dell’uomo/personaggio, il film gli sia venuto così: più doloroso che allegro, più drammatico che gioioso. Ora, dopo un film senza pecche e picchi, comunque emozionante, attendiamo, con altro spirito, un’opera che pretendiamo diversa: il documentario di Emir Kusturica. Intanto ci godiamo una biografia per niente indegna, parziale, in tempo reale, salvo possibili variazioni dell’ultim’ora. Speriamo di no. Lunga vita al Pibe de Oro.
Regia: Marco Risi, Sceneggiatura: Manuel Rios San Martin, Manuela Valdiva, César Vidal, musiche: Aldo De Scalzi, Pivio, Montaggio: Patrizio Marone, Costumi: Daniela Ciancio, Ruth Fishermann, Scenografia: Graciela Coca Oderigo, Carlo De Marino, Fotografia: Marco Onorato, Suono: Roberto Moroni, Interpreti: Marco Leonardi, Julieta Díaz, Juan Leyrado, Eliana Gonzalez, Gonzalo Alarcon, Produzione: Elide Melli, con Comedy Film (Italia) e Ombu Producciones (Spagna) in collaborazione con RAI Cinema, Origine: Italia 2007
