Marco Bellocchio: "la bella addormentata è anche l’Italia"
Perché ha scelto proprio il caso Englaro come sfondo del tessuto narrativo ?
Marco Bellocchio: La cosa è nata per caso: all’epoca sono stato aggredito, coinvolto da quello che vedevo e sentivo e quindi per reazione mi sono venute in mente dapprima delle immagini e poi dei personaggi e delle storie, che però ho lasciato depositare: il tempo è stato molto prezioso. Alcuni anni dopo con Stefano (Rulli) e Veronica (Raimo) le abbiamo arricchite e strutturate. Non volevamo affermare un principio, un’idea, una tesi: la storia è venuta da se. Credo che il film sveli ciò che penso sull’argomento, ma in modo complesso, non ecumenico, lavorando con i personaggi senza mai un atteggiamento di disprezzo o di odio. Le mie idee possono essere diverse da quelle di qualche personaggio, ma senza mai sentimento di astio. Io sono un regista che lavora con gli attori e quindi prendendo anche da loro; credo che i personaggi del film rispondano in parte a quello che sono gli attori.
Nel suo film sono rappresentate tutte le posizioni e c’è uno sguardo di comprensione anche per il sentire cattolico. Si può dire che è un atteggiamento molto diverso dal passato?
MB: Se mi sta chiedendo questo, non mi sono convertito. La mia mi sembra una posizione discretamente laica, ma certamente l’immaginazione non può restringere o castrare delle cose che vengono in mente. Ad esempio riguardo al personaggio di Alba (Rohrwacher) non entro nel merito della sua fede, ma mostro il fatto che ad un certo punto si innamora di un ragazzo che ha delle idee opposte alle sue. Il mio sguardo non voleva condannare chi ha fede: io non ne ho, ma guardo con interesse chi ce l’ha.
Ha contattato il padre di Eluana prima di realizzare il film? Ha saputo cosa ne pensa?
MB: Prima di cominciare il film mi sono sentito in dovere di parlare con Beppino Englaro, avevo letto anche il suo libro e lui è stato estremamente disponibile. Sin dall’inizio gli ho detto che avrei fatto un film di fantasia, con questo dramma sullo sfondo. Il sette ci incontreremo a Udine per presentare il film, so che lo ha visto ma non voglio dire nulla di quello che pensa.
Beppe Servillo, come ha lavorato sul suo personaggio?
BS: Ho seguito un’indicazione molto chiara di Bellocchio, di fare un personaggio chiuso nella sua fragilità, ma che mantenesse sempre, nel dubbio e nella fragilità, una grande dignità. Marco crea delle condizioni di curiosità che favoriscono il lavoro sul personaggio. Il mio senatore è ricco di conflitti e quindi di materiale drammatico. Deve rispondere sul piano pubblico, alla votazione in parlamento; sul piano della coscienza, rispetto alla memoria della moglie amatissima; e infine sul piano del rapporto conflittuale con la figlia. E come se non bastasse milita in un partito molto controverso.
Non era forse un po’ frettolosa la scena in cui la moglie di Servillo gli chiede di essere aiutata, di essere lasciata morire, e lui esegue senza nessun apparente travaglio?
MB: E’ una sintesi cinematografica: in pochi secondi si può consumare una tragedia, un dramma, una sintesi di un’intera vita. Ma in realtà lui dice due volte “non capisco”, come se si rifiutasse di fare ciò che lei chiede implicitamente. Noi parliamo con l’arte cinematografica, quindi sintetizziamo quella che nella realtà potrebbe essere una scelta durata settimane o mesi. E’ la sintesi operata da un linguaggio che non è quello della realtà.
Beppe Servillo: Avere chiara la distinzione tra personaggio e ruolo è molto importante: il ruolo della moglie è fondamentale per moltiplicare nella sensazione dello spettatore il turbamento di Beffardi rispetto alla situazione in cui si trova, il suo non saper cosa fare. Il ruolo della moglie è funzionale a questa caratterizzazione del personaggio.
Il dramma di Eluana Englaro è che non si sarebbe mai potuta svegliare, ma nel finale del suo film lei mostra un risveglio.
MB: A me interessava proprio raccontare dei risvegli, in rapporto al fatto che Eluana poteva vivere solo in stato vegetativo. Ad esempio c’è una ragazza (Maya Sansa) che vuole suicidarsi, ed un giovane medico che vuole impedirlo. Ma ci sono molti altri risvegli: quello del senatore e della figlia, quello di Brenno (Placido) che si allontana dalla madre...
Quanto ha pensato ad un’audience internazionale nel fare questo film?
MB: E’ impossibile per me pensare a come il resto del mondo percepirà un mio film, non posso pormi questo problema. Alcune volte i film che ho fatto sono stati apprezzati all’estero, alle volte no, ma cercare di prevederlo sarebbe un calcolo improbabile, come fare previsioni sugli incassi.
Si può dire che il suo è’ un film politico?
MB: Mi viene in mente un film di Moretti, quello in cui gli chiedevano sempre “ma dov’è la lotta di classe?”. Verso i politici in questo film non ho un atteggiamento di disprezzo. Ormai la gente dice solo che sono tutti dei ladri, che dovrebbero andare a casa eccetera. Ma a me interessava la loro disperazione, il loro smarrimento, il loro non sapere dove andare. Mi interessava la battuta dello psichiatra interpretato da Roberto Herlitzka: sono molti i malati di mente in parlamento. In politica vedo una disumanità psicologica più che l’ “arraffamento”, più una disperazione diffusa, di cui forse i politici stessi sono inconsapevoli. Il potere è inguaribile. In questo senso pur essendo un pacifista c’è in me una dimensione anarchica, anche se anarchico-pacifista. E’ stata una giornalista a farmelo notare: il titolo potrebbe essere esteso all’intero paese, bella addormentata si potrebbe dire anche dell’Italia.