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Marina

Pubblicato il 8 maggio 2014 da Edoardo Zaccagnini
VOTO:


Marina

Storia di una canzone, proprio lei, la famosissima "Marina" del ’59, e biografia romanzata del suo autore, Rocco Granata. Ma, soprattutto, interessante documento di Storia italiana. Si, perché a nessuno sarebbe mai venuto in mente di fare un film su una canzone, seppure di successo, e su chi l’ha scritta, se quella canzone non fosse espressione di molto altro. E infatti c’è qualcosa di più grande dentro quell’insieme di accordi e di parole: c’è il racconto della grande emigrazione italiana del secondo dopoguerra. Quella all’estero, nel caso specifico in Belgio, in quelle miniere dei Paesi Bassi che già un bel film di Luciano Emmer aveva raccontato: La ragazza in vetrina, del 1960, più di cinquant’anni fa, ormai, forse il miglior film del regista milanese. Raccontava la storia di due italiani spediti dalla sorte e dalla Storia in un angolo di mondo al confine tra Olanda e Belgio, a tirar fuori carbone dalla pancia della Terra, a rischiare ogni giorno di morire e a innamorarsi poi di una ragazza in vetrina, appunto, per aggrapparsi alla propria esistenza attraverso un sentimento, nonostante una vita non difficile, di più. Oggi il caldo e lineare melodramma di un regista belga, Stijn Coninckx, già candidato all’Oscar nel ’94 con il film Daens, ci riporta a quegli anni e a quelle vicende di sradicamento e sacrificio, di integrazione lenta e faticosa tra culture, avvalendosi di notissimi protagonisti italiani, meridionali e bravi entrambi, Luigi Lo Cascio e Donatella Finocchiaro, sicilianissimi tutti e due anche se palermitano il primo e catanese la seconda.

Ok, qualcuno starà dicendo, ma che c’entra tutto questo con "Marina", la canzone ballata e canticchiata da milioni di persone (non solo italiane) dagli anni ’60 fino ad oggi? Pronta la risposta: "Marina" è stata scritta in Belgio, nel 1959, perché Rocco Granata era figlio di emigrati calabresi a Genk. Suo padre aveva lasciato l’Italia quando Rocco era bambino, e poco tempo dopo tutta la famiglia Granata aveva raggiunto il babbo in quel Paese diffidente ed affamato di manodopera in miniera. Il racconto è quello di una famiglia che comincia da una baracca di pozzanghere e umidità, in un villaggio per minatori organizzato al morire della città. Uno di quei posti in cui si parlavano tanti dialetti d’una Italia non solo meridionale (uno dei protagonisti del film di Emmer, non a caso, era veneto) e in cui qualcuno cercava un metro quadrato di terreno per farsi l’orticello.

Ma poi, una volta costruita l’attivissima e fondamentale impalcatura scenografica, Marina diventa la storia di Rocco, un ragazzo che parla calabrese e che ama la musica più di ogni altra cosa. E di suo padre, che non vuole un figlio minatore ma non ha il coraggio di lasciarlo libero nell’avventura della musica, nonostante sia stato lui stesso a passargli la passione per la fisarmonica. Il compromesso è una vita da fabbro, perché ha paura, quel calabrese spaventato e provato dalla fatica, che suo figlio sbandi e se ne accorga troppo tardi, quando la vita lo ha già condannato all’emarginazione ed alla sofferenza. E’ quindi la storia di un conflitto padre/figlio consumato in un contesto ostile che considera gli italiani poco affidabili e buoni solo per cavare minerali a centinaia di metri dalla luce.

Il film funziona per il realismo degli ambienti e per la precisione con cui il contesto è ri-costruito: mentalità, clima, leggi, problemi. Si parla anche della strage di Marcinelle, per esempio, in cui morirono centinaia di italiani. C’è del romanzo, come detto, ma tanto semplice quanto armonico, utile per fare di Marina un film per tutti coinvolgente. Rocco (interpretato dal bravissimo Matteo Simoni) è un piccolo eroe che si innamora, che lotta contro il pregiudizio e l’invidia dei mediocri, contro la propria condizione di indigenza e contro suo padre, che indirizza l’enorme talento musicale del figliolo verso lo spegnimento. Solo che quel talento, per fortuna, oltre ad essere eruttivo, è inarrestabile come una cascata d’acqua che si vuol fermare con il palmo di una mano.

Ovviamente, tra sofferenze, speranza, lotta, e fortuna dopo la sfortuna, ma soprattutto dopo quelle note che come per magia si congiungono e si trasformano in un motivetto che fa il giro del mondo, ecco che il lieto fine si presenta puntuale sotto forma di successo planetario, con una bella sequenza in cui persino quel povero padre (Luigi Lo Cascio) si gode la festa e trova il suo riscatto personale.

Per Rocco, probabilmente, oltre alla soddisfazione professionale, c’è anche quell’amore inseguito lungo tutto il film. Favola sociale a partire dalla realtà, dunque, questo Marina già presentato al Festival di Roma 2013 nella sezione "Alice nella città". Con lezione di Storia contemporanea incorporata e un po’ di musica a condire il tutto. Ce ne è abbastanza per dedicargli un paio d’ore e c’è pure un cammeo del vero Rocco Granata nei panni di un venditore di strumenti musicali.


CAST & CREDITS

Regia: Stijn Coninx; Sceneggiatura: Rik D’Hiet, Stijn Coninx; Fotografia: Lou Berghmans; Montaggio: Philippe Ravoet Interpreti: Luigi Lo Cascio, Donatella Finocchiaro, Matteo Simoni Rocco Granata, Produzione: LUC EJEAN-PIERRE DARDENNE, CRISTIANO BORTONE, PETER BOUCKAERT PER ORISA PRODUZIONI, EYEWORKS FILM & TV DRAMA, LES FILMS DU FLEUVE; Distribuzione: Movimento film


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