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Marpiccolo

Pubblicato il 6 novembre 2009 da Edoardo Zaccagnini


Marpiccolo

E’ una storia di marginalità e degrado giovanile, di disagio estremo contestualizzato in un paesaggio meridionale urbano italiano, cementizio, arrugginito e criminale. La narrazione dell’ennesimo caso limite, anzi, oltre il limite. Dalle parti di Marra, del primo Patierno, di Pau, di Mary per Sempre, se vogliamo anche di Gomorra e di tanto altro cinema italiano, drammaticamente realistico/sociale. Anche pugliese da un po’ di tempo. Solo con più romanzo e meno autorialità di altre volte, con meno generazionalità nello stile, con una concreta astrattezza folta di azione, e con qualche banalità in più rispetto all’ormai non più tanto giovane cinema italiano finestra dura e pessimista sul reale. Siamo in Puglia, nella Taranto che Winspeare descrisse qualche anno fa come più accettabile di quella improvvisamente dirobilantiana, e persino miracolosa, allora. Stavolta no, salvo nel finale distensivo e un pò attardato rispetto a quella che avremmo considerato una giusta durata. Tutto il resto è tanto duro quanto ammorbidito dai limiti di una narrazione prolissa soprattutto nella parte finale, appunto, anche se già da prima spuntava qualche dialogo franoso, qualche elemento posticcio e qualche schematismo di troppo nei personaggi. Più volte abbiamo sentito la mancanza di vera polpa, troppa immagine e poco tessuto nei caratteri, un po’ di stereotipo impegnato e impaginato, per capirci. Ma nell’insieme il film si lascia guardare e stende in maniera tutto sommato accettabile il suo racconto. La storia, in breve, è quella di Tiziano, un ragazzo intelligente e a rischio, il prodotto umano del cemento popolare di cui è fatto il suo quartiere, Paolo VI, il più immediatamente a ridosso delle acciaierie Ilva di Taranto. La sua vita lo sta trasformando in un’ anima dannata, disperata, delinquente, in una vita a perdere. Ha un padre debolissimo, o forse è meglio dire indebolito da quell’inferno, vinto dalle sue ingiustizie, e una madre più tenace e non ancora rassegnata, che combatte una battaglia piccola ma vincente contro l’ennesima aggressione politico imprenditoriale sul territorio. Va a scuola, dove trova un’insegnante che si accorge della sua intelligenza e tenta di aiutarlo. Invano, perchè è troppo forte in lui il richiamo verso la delinquenza come unica via di uscita e di speranza. I suoi errori si moltiplicano silenziosamente e quasi coscientemente, fino a quando, sotto il ricatto del più forte, la situazione degenera e lui finisce in riformatorio. Quando esce, però, sembra trovare la forza e il coraggio di dire basta.
Bravi tanti degli attori tra cui il giovane protagonista Giulio Beranek, un esordiente dalle infinite energie, e brava sua madre, quell’ Anna Ferruzzo già apprezzata in Saimir di Francesco Munzi, e nel film già citato di Edaordo Winspeare, Il miracolo, del 2003. A queste due interpretazioni vanno aggiunte l’ormai consolidata grinta amabile di Michele Riondino, qui bravo ad evitare con energia misurata i pericoli bozzettistici del suo gangster-character (e a sostenere la tensione che il film cerca per sedurre i suoi spettatori), e la sempre tonica Valentina Carnelutti, una che salta da un film all’altro senza accusare mai stanchezza. Ci sono poi da spendere due parole sull’altrettanto solido contributo offerto dall’affidabilissimo Giorgio Colangeli, ormai rassegnato ad una carriera cinematografica impostata su concetti come degrado, dolore e sconfitta. L’abbiamo conosciuto con L’aria Salata e non ce lo siamo più dimenticato. L’abbiamo visto passare nel film pugliese (a basso costo e basso risultato) Fine pena mai e l’abbiamo ritrovato qualche giorno fa nell’ultimo film di Alessandro Angelini, Alza la testa,, nel ruolo di un operaio imprigionato nel litorare romano di Fiumicino. Adesso lo scopriamo educatore in un carcere minorile, a fare il contrario di quello che faceva nel primo film di Angelini (L’aria salata), ma sempre irreversibilmente impantanato in luoghi portatori di profonda sofferenza. Della serie sempre lì stiamo, oppure cerchio chiuso? passiamo ad altro? Ora speriamo di vedere il sempre bravo Colangeli in altri panni, non tanto per noi spettatori che lo apprezziamo in ogni film, quanto per lui come attore, che immaginiamo comincerà a sentire puzza di etichetta.
Non mancano sequenze di grande violenza, in Mar Piccolo, le quali, bisogna dirlo, colpiscono anche per l’efficacia con cui sono girate. Su tutte il duello all’ultimo sangue tra il protagonista e lo scagnozzo del boss, duro fino allo stremo, anche esagerato nella carica di drammaticità e ferocia esplicita che porta con sé. Una violenza inaspettata, esagerata per un film destinato soprattutto ai ragazzi, vista la sezione che qui a Roma lo ospita, Alice nella città. Una violenza su cui affiorano messaggi positivi per i giovanissimi che lo vedranno, nella speranza che siano attratti più dal poco bene che dal tanto male banchettante in questo film. Che ha una buonissima fotografia, e qualche location davvero suggestiva. C’è un rapporto forte tra vicenda e contesto, anche se è un rapporto non completamente risolto. La fabbrica, per esempio, (argomento/scenografia che di tanto in tanto torna nel cinema italiano serioso ed impegnato) è qui presente palesemente attraverso l’Ilva di Taranto: un problema reale, enorme, che il cinema fa bene a inquadrare e magari raccontare. Marpiccolo lo accenna, lo grida una manciata di volte e lascia che si appoggi sulla storia come prezioso elemento di scena. Il film si apre con una vacca morta, gonfia e galleggiante, sopra un lembo di mare fermo, chiuso, piccolo, appunto. Una voce fuori campo spiega immediatamente il perché di tale visione, il suo legame con quel territorio totalmente contaminato dalla presenza incombente della fabbrica stessa, un mostro che il film inquadra dall’esterno, fumante, ripetutamente, cogliendo così alcune delle sue inquadrature migliori. Va bene, ma toccherebbe a un altro film prendere più da vicino l’argomento.

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CAST & CREDITS

Regia: Alessandro Di Robilant; sceneggiatura: Andrea Cotti e Leonardo Fasoli; fotografia: David Scott; montaggio: Roberto Missiroli; musica: Mokadelic; interpreti; Giulio Beranek, Giorgio Colangeli, Valentina Carnelutti, Michele Riondino; produzione: Marco Donati per Overlook Production e Rai Cinema, con la partecipazione di Apulia Film Commission; distribuzione: 01 distribution; origine: Italia, 2009; durata: 87’


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