MATCH POINT

Prima di affrontare qualsiasi discorso inerente l’ultimo film diretto da Woody Allen, dobbiamo anteporre una personale quanto necessaria precisazione: per chi, come noi, ha iniziato a formare la propria passione cinematografica sulle grandi opere dirette dall’autore newyorkese a partire dai tardi anni ’70, poter parlare finalmente con entusiasmo di un suo lungometraggio rappresenta un desiderio quasi insopprimibile: la volontà di analizzare Match Point con la doverosa lucidità ci porta però ad affermare che si tratta di un film di certo riuscito, ma tutt’altro che perfetto.
Sia ben chiaro: le premesse per parlare di una “rinascita artistica” di Woody Allen ci sono tutte, e su questo non sussiste alcun dubbio. Rispetto ai suoi lavori recenti, Match Point è un’opera di qualità evidentemente superiore, ideata e realizzata attraverso una coerenza prima poetica e conseguentemente stilistica davvero notevoli. Per trovare un film degno della grande tradizione comica di questo cineasta dobbiamo a nostro avviso risalire all’affettuoso omaggio al noir anni ’40 de La maledizione dello scorpione di giada (The Curse of the Jade Scorpion, 2000), mentre per poter parlare di capolavoro dobbiamo addirittura tornare all’evocativo bianco e nero di Ombre e nebbia (Shadows and Fog, 1991): un confronto con la scialba produzione alleniana degli ultimi anni non può perciò non far risaltare Match Point come opera di fattura nettamente elevata, e non soltanto per lo scarto tematico che la contraddistingue; il passaggio avviene infatti dai congeniali toni “soft” della commedia sofisticata a quelli più seri del dramma esistenziale, quando non addirittura del giallo; tale spostamento di rotta non rappresenta di certo una novità nella lunga filmografia del genio newyorkese: pensiamo ad opere di grande intensità emotiva come Interiors (id., 1978), Un’altra donna (Another Woman, 1988) e soprattutto quello che consideriamo il suo capolavoro assoluto, quel Crimini e misfatti (Crimes and Misdemeanors, 1989) che molto si accosta a questa sua ultima fatica: già, perché il canovaccio che riassume la storia di Match Point - che non riveleremo al lettore per ovvi motivi - molto si avvicina a quello che costituiva una delle due storie parallele dell’altro film, rappresentandone quindi una ripresa ed un approfondimento, o meglio una rivisitazione sotto un altro profilo: se infatti in Crimini e misfatti le azioni dei vari personaggi dovevano confrontarsi con il peso di un giudizio divino scaturito dall’opprimente etica religiosa del protagonista Martin Landau, questa volta gli stessi “misfatti” non hanno altro referente se non la “dea bendata” della fortuna, che regge e determina i destini umani oltre qualsiasi possibile comprensione logica (come dimostra il bellissimo finale del film).
Dal punto di vista drammaturgico nulla di nuovo quindi sotto il sole per il grande Woody: le tematiche esplicitate in Match Point hanno vagamente il sapore del già visto, soprattutto per chi, appunto come noi, tiene a mente i capolavori del passato. Se questo non è comunque imputabile al lavoro come un difetto, altrettanto non si può dire invece della sceneggiatura del film, che in alcuni momenti si concede un gusto del discorsivo eccessivamente sottolineato: da sempre straordinario creatore di dialoghi, situazioni e soprattutto personaggi, stavolta Allen si concede il lusso di volerli inquadrare in tutte le loro frivole sfaccettature, prima sociali e secondariamente umane; probabilmente interessato a rappresentare al meglio un ambiente al suo cinema nuovo come quello della “upper class” londinese, l’autore sciorina tutta una serie di scene e situazioni che ne definiscono alla perfezione sia la mentalità “chiusa” che la spocchiosa aria di superiorità. Se quindi il suo solito sguardo da entomologo sui suoi personaggi continua a divertire e non poco -qui in maniera molto più sottile e tagliente del solito -, stavolta però questo risulta poco funzionale con lo sviluppo della trama principale, ed appesantisce una narrazione che al contrario avrebbe dovuto farsi in più punti maggiormente coincisa, quando non addirittura stilizzata.
Dove invece Match Point si rivela essere una delle migliori pellicole in assoluto del genio newyorkese è nella regia, o meglio nell’idea di messa in scena che irretisce l’intera storia: Allen arriva ad un incredibile sintesi di eleganza ed al tempo stesso di rarefazione, immergendo le figure da lui create in un universo di folgorante bellezza visiva; aiutato dalla fotografia pastosa e densa di variazioni cromatiche di Remi Adefarasin, il regista ritrova quell’impressionante lucidità estetica che aveva in precedenza contraddistinto le sue opere più riuscite - ancora una volta si deve tornare quindi a Crimini e misfatti. La pregnanza delle immagini in molte parti di Match Point non soltanto si pone come splendida cornice a quanto viene messo in scena, ma ne rappresenta la coerente e “fredda” esplicitazione estetica: negli ultimi tempi raramente si è assistito ad una così penetrante fusione tra materia trattata e mezzo espressivo attraverso cui raccontarla. L’autore ripropone la sua personale ricerca sul tempo “logico” dell’inquadratura, la cui durata si fa mezzo portatore di comicità oppure, come in questo caso, di carica drammatica. La regia di Allen arriva attraverso la semplicità ad uno stadio di sottrazione, di non sottolineatura degli eventi che si trasforma in lucidissima riflessione sull’uso “nascosto” del mezzo, in questo caso testimone distaccato ma impietoso della miseria umana. Splendido esempio di cinema “congelato” ed allo stesso tempo finemente ideato, Match Point testimonia in pieno la volontà del proprio autore di tornare su argomenti già affrontati, supportato stavolta da una disillusa saggezza, che ne attenua la spinta moralistica. Un maggiore controllo e presa sulle dinamiche precise del genere - e quindi uno sfoltimento di alcune pennellate di costume non funzionali - non avrebbero guastato. A parte questo, il film segna il ritorno di un grande regista.
ciao
Regia e sceneggiatura: Woody Allen; fotografia: Remi Adefarasin; montaggio: Alisa Lepselter; scenografia: Jim Clay; costumi: Jill Taylor; attori: Jonathan Rhys-Meyers, Scarlett Johansson, Matthew Goode, Emily Mortimer, Brian Cox, James Nesbitt; produzione: Charles H. Joffe, Jack Rollins, Stephen Tenenbaum per Dreamworks Pictures; distribuzione: Medusa; durata: 124’; web info: sito italiano
