Medfilmfestival 2008 - Billo: Il grand Dakhaar

L’importanza e la preziosità principali di un film come Billo sono quelle di toccare, in un modo alquanto personale e inusuale, uno dei temi meglio affrontati dal cinema italiano contemporaneo: il rapporto tra immigrazione ed integrazione. Questo, infatti, sembra essere il comun denominatore principale della multiforme produzione recente nostrana. Sono anni, ormai, che un argomento così forte e così sentito dalla popolazione, qualcosa che ha molto poco di astratto perché basta scendere sotto casa e il tema (spesso problema) è sotto gli occhi di tutti, è sviscerato, in più di un caso con risultati soddisfacenti, dal nostro cinema sociale. Potremmo partire dall’ormai lontano (pionieristico per certi versi) e assolutamente imperfetto Pummarò di Michele Placido (1990) e risalire fino ai più recenti Apnea, Come l’ombra, Saimir, La giusta distanza. Passando per Vesna va veloce, Provincia meccanica, L’orizzonte degli eventi. Fino ad arrivare a Il resto della notte, Lettere dal Sahara, Le ferie di licu e Mar Nero. Più tanto altro, ovviamente, abbastanza per una lunga riflessione, una pubblicazione o un’interessante retrospettiva.
Quasi sempre, tuttavia, il tema immigrazione/integrazione è stato (ed è) sondato, dal cinema italiano ( e non solo italiano) in maniera super problematica e molto drammatica, a testimonianza di un linguaggio duro che si adegua ad un tema molto delicato. E, a parte la magia musicale de L’orchestra di Piazza Vittorio, le vite disperate che sbarcano sulle nostre terre (tutt’altro che benevole ed ospitali) sono raccontate quasi sempre come un viaggio doloroso in cui la speranza annega nella disillusione. Sta qui l’eccezione del piccolo e vivo Billo, un film il cui titolo non rende del tutto giustizia a una pellicola fatta di realismo minuto, delicato ottimismo e sanamente cinico umorismo. Billo-Il grand Dakhaar, recita il titolo completo dell’opera seconda di Laura Muscardin (già attiva con interessanti esperimenti documentaristici), narra la storia di un immigrazione riuscita, di una salita ad ostacoli compiuta con fatica e silenzioso successo. Non è mai televisione, tuttavia, e se lo stereotipo buonista o cattivista tenta di aggredire il film in più tratti del cammino, non riesce mai a stordirne la personalità e l’originalità, anche perché intervengono sequenze di valida espressività ed acuto ingegno a combatterne la pericolosità. C’ è del romanzo, ovviamente, ma non è mai patetico, mai irritante, semmai il contrario. Billo è una storia realistica in molta parte, una favola sociale moderna e compatta, considerando la produzione che si avverte avventurosa e la pochezza dei mezzi a disposizione della brava regista Laura Muscardin, già attenta a tematiche forti con il suo Giorni (un film di malattia ed omosessualità). Da un certo punto di vista, Billo somiglia molto a Le ferie di Licu di Vittorio Moroni, perché in entrambe le storie c’è un continuo salto spaziale dai luoghi d’origine dei protagonsiti a quelli della loro forzata emigrazione. Ed ecco, allora, l’analisi multiculturale compiuta da entrambi i film, leggera ma incisiva: l’origine, la storia e qualche informazione utile su alcune delle tante facce che incontriamo ogni giorno nelle nostre città. In entrambi i lavori si racconta il loro mondo, tra matrimoni combinati, ambienti domestici, lingua, canzoni e tradizioni. Le ferie di Licu (il cui paesaggio culturale si divideva tra Roma e il Bangladesh) era molto forte nel linguaggio ed era stato uno dei film italiani più interessanti della sua stagione. Billo ( il cui paesaggio culturale è diviso tra Roma e il Senegal) è una commedia sociale, intelligente e simpatica, fresca nel comportamento e capace di parlare ad un pubblico che invece non è stato convocato. Il film, infatti, è uscito, nel quasi silenzio generale, in due sole sale romane, ed ha resistito per qualche settimana con le sue forze. Erano gli stessi giorni in cui un altro piccolo film italiano, un acciughina solo in parte gioiello, stava imperversando nelle sale nazionali dopo che la buona sorte, del tutto meritata, lo aveva letteralmente baciato nei giorni (magri per il cinema italiano) dell’ultima mostra veneziana. Parliamo di Pranzo di ferragosto, esperimento scarno, singolare, simpatico e ben organizzato, reso giustamente visibile dai suoi meriti, ma non certo troppo lontano dalla schiettezza accattivante di un pellicolino dolce, amaro e parlante come Billo, uno di quei film di cui il pubblico italiano avrebbe bisogno e che non avrebbe nessuna difficoltà a digerire.
Curiosità: Il film è prodotto, oltre che dal cantante senegalese Youssou N’Dour (che ha anche composto le musiche, compresa la bellissima versione senegalese del "Barcarolo Romano" di Romolo Balzani), da un organismo chiamato "The Coproducers", un progetto nato nell’aprile 2005 da un’idea di Eros Puglielli, Marco Bonini e Gabriella Blasi. Si tratta di un sistema produttivo alternativo per far rinascere il cinema italiano lontano dai circuiti produttivi ufficiali. Tutto il cast tecnico ed artistico sono gli unici proprietari della pellicola. E’ quindi un sistema di produzione che realizza un prodotto audiovisivo in coproduzione con tutti i partecipanti del film, i quali diventeranno , in cambio del loro contributo produttivo, proprietari di una quota dei diritti di sfruttamento economico della pellicola.
Complimenti a tutti quelli che hanno realizzato billo, un piccolo film che merita di essere visto.
Regia: Laura Muscardin, sceneggiatura: Marco Bonini, Mbacke Gadji, Laura Muscardin, Lucilla Schiaffino; fotografia: Maria Teresa Punzi, montaggio: Marco Spoletini, interpreti: Thierno Thiam, Susy Laude, Paolo Gasparini, Paul N’Dour, Adriano Pantaleo, Fiorenza Tessari, Luisa De Santis, Badara Seek, Musiche: Youssou N’Dour , produzione: The Coproducers; distribuzione: Achab film, origine: Italy/Senegal, 2007
