Medfilmfestival 2008 - Fuori dalle corde

Ecco un film di paesaggio e presente. Una storia secca come la pelle indurita dal vento di un porto. Ecco un’umanità contemporanea, giovane e silenziosa che si rode ogni giorno in mezzo al cemento e all’indigenza, al lavoro e al denaro che non ci sono. Ecco due attori giovani e italiani, bravi a muoversi e a guardare in faccia la macchina da presa con espressioni più da cinema che da tv. Maya Sansa lei, calda e glaciale, una ragazza di periferia friulana, povera e ostinata dentro un piumino grigio acciaio e le mani puzzolenti di pesce tagliato in un magazzino venuto su tra le navi e le grù portuali di una Trieste industriale. Grigia e fotografata con talento e mestiere. Michele Venitucci lui, il ragazzo col neo sullo zigomo che aveva esordito (e bene) anni fa nella gradevole commedia rubiniana Tutto l’amore che c’è, e che pochi mesi or sono ha partecipato con bravura al leggerissimo e brillante ritorno corsicatiano: Il seme della discordia. Avendo pure la grandissima fortuna, anche se solo cinematografica, di fare l’amore con le grazie della splendida Caterina Murino. Il ragazzo è pugliese e nel positivo esordio di Fulvio Bernasconi prende le sembianze di un giovane pulito e sfortunato. L’unica strada che intravede, in mezzo ai fuochi e ai fumi che spuntano dalle ciminiere industriali di una città senza centro storico, è quella di un pugilato che si rinnova a sinonimo di riscatto sociale, se non altro tentato. Già qualche anno fa, questo sport nobile, antico ed aspro, si era accostato ai non luoghi di una periferia urbana con un altro esordio interessante e di nicchia: Pesi leggeri, Enrico Pau, 2001. Ora illude le corse e le speranze di un ragazzone silenzioso e della sua ingenua sorella, la brava Sansa appunto, che vive per lui una passione al limite della patologia, e che riversa sui muscoli e il talento di un giovane normale le angosce di una povertà altrettanto “normale” che nasce dalla solitudine e dalla malasorte. Fuori dalle corde rielabora la più famosa tradizione italiana: quella del realismo amaro e senza sorriso che dalla sfortuna scivola fino alla disgrazia, e lì lascia lo spettatore attonito e stordito, dopo averlo condotto con forza in fondo al viaggio, per farlo rimanere, poi, zitto e fermo, senza poter far nulla, soltanto a meditare sulla possibilità, non troppo remota, che quanto visto nel film sia possibile e vicino alla realtà. Il film è una moderna storia di poveri in una società squilibrata in cui i ricchi stanno a guardare e gli ultimi si scannano come cani inferociti, come moderni schiavi gladiatori per due soldi senza speranza.
Il protagonista maschile è emigrato in Germania per fare il pugile ma le solite leggi non scritte, a quanto pare vigenti anche altrove, hanno sancito la sua sconfitta senza rivincita e lo hanno costretto a tornare nel bel paese per prendere parte ad incontri di lotta senza regole pagati con la percentuale delle scommesse. Le speranze dei due ragazzi crollano e la reazione della sorella è violenta nei confronti del giovane costretto alla deriva. lei lo caccia di casa e lui viene raccolto dai suoi aguzzini e nutrito di cinismo, rabbia e violenza. A questo punto si apre uno degli scenari più interessanti del film: quello dei combattimenti illegali ed umani (disumani, sarebbe meglio dire) che accompagnano il tempo libero di questo moderno, e spesso terribile nord est italiano contemporaneo. Viene voglia, dopo aver visto questo film muscolare e girato con inquadrature e montaggio davvero suggestivi, di approfondire l’argomento e di andare a vedere la consistenza di questa aberrante attività ludico-economica, a seconda dei punti di vista. Il desiderio di chiarezza che l’opera impone, nasce dal suo valore espressivo, e non facciamo nessuna fatica a chiudere un occhio sul carattere e la fisionomia di alcuni personaggi di contorno e su alcune svolte di sceneggiatura non proprio perfette. Il corpo del film esce assolutamente illeso da qualche innocuo testacoda e il paesaggio culturale che la pellicola esplora invoglia a capire e ribadisce dubbi e sospetti su questa terra lontana dalla camorra e dalle stanze del potere. Un nord est sempre caro al cinema italiano recente: La giusta distanza, Apnea, Tartarughe sul dorso, Arrivederci amore ciao, tanto per portare alcuni esempi. E Fuori dalle corde, adesso, presentato in un med film festival che mostra le cose migliori del "piccolo" cinema italiano, più o meno dell’anno, che, come nel caso dell’esordio bernasconiano, non ha ancora incontrato la sala. Certi film vanno sostenuti e difesi. Noi lo partiamo da questa recensione sincera, libera e favorevole, nell’attesa di una sana distribuzione.
(Fuori dalle corde); Regia: Fulvio Bernasconi; sceneggiatura: Fulvio Bernasconi, Vincenza Consoli; fotografia: Filip Zumbrunn; montaggio: Milenia Fiedler; musica: Alexander Hacke; interpreti: Michele Venitucci, Maya Sansa, Juan Pablo Ogalde, Vilim Matula, Mauro Serio, Claudio Misculin; produzione: Elda Guidinetti, Andres Pfaeffli, Donatella Botti, Beppe Caschetto per Ventura Film, I.T.C. Movie, Bianca Film, con il contributo del MiBAC, in coproduzione con Rai Cinema, Artè, RTSI; origine: Italia, 2007; durata: 88’
