Mongol

Se da una parte Sergej Bodrov è uno dei registi russi contemporanei dall’estetica più accomodante e, in un certo senso, tendente ad una messinscena spettacolare particolarmente vicina a gusti occidentali, dall’altra l’autore si ritrova a sopportare il compito di bissare il successo ottenuto lo scorso anno da Playing the victim (film vincitore della prima edizione della Festa del Cinema di Roma) di Kirill Serebrennikov.
Mongol narra la storia dell’ascesa di Gengis Khan a capo dell’intera Mongolia e di come l’eroe ha realizzato il sogno di vedere il suo popolo riunito sotto un unico capo e in un solo esercito, il più immenso fra quelli rimasti alla storia. Una biografia avventurosa quindi, i cui ritmi sono scanditi da un’intelligente alternanza fra sequenze in cui vengono ricostruite l’infanzia e la vita quotidiana del grande Khan e brutali scene di combattimento. Il cineasta russo riprende tutti i clichè del genere e sviluppa le tematiche generalmente affrontate in una qualsiasi biografia romanzata. Ciò che distingue Mongol da un film statunitense è però l’evidente desiderio di non focalizzare l’attenzione dello spettatore su un aspetto preciso della vita di Gengis Khan, come l’amore per la moglie persa e ritrovata più volte o come la ferocia dimostrata in battaglia. Bodrov lascia che tutti gli eventi ruotino intorno ad un personaggio complesso e ricco di sfumature.
L’immensa ed ostile Mongolia, i cui paesaggi vengono mostrati insistentemente dal regista russo, non è solo palcoscenico ideale per una storia d’azione, ma anche l’espediente tramite il quale diviene possibile afferrare la possibile interiorità di un uomo che non si distinse né per cultura né per doti oratorie, ma per coraggio e gelida fermezza. Mentre in un film statunitense avremmo visto Gengis Khan perdersi in mille sofismi ed amoreggiare in continuazione con la sua bella, nel lavoro di Bodrov viene descritta l’ascesa al potere di un uomo tramite le sue sconfitte, più che dalle sue conquiste. Proprio grazie al dolore e alla sofferenza il grande Khan interiorizza la necessità di una forma di giustizia che unirà sotto un solo leader il popolo mongolo.
Supportato da una splendida fotografia in continua ricerca di parallelismi fra uomo e natura, Mongol racconta la storia di un guerriero che vince la sua battaglia grazie al coraggio più che con la spada. Il Gengis Khan di Bodrov è un capo cui tutti si inchinano solo nel momento in cui viene sconfitta la paura. L’eroe percorre fiero un campo di battaglia su cui imperversa un terribile temporale: il popolo si inchina all’unico mongolo non impaurito da tuoni e fulmini. La paura rende schiavi, se si è vittima di essa non sarà possibile divenire metafora vivente di una natura impervia e, allo stesso tempo, simbolo di un popolo fiero ed agguerrito.
Gengis Khan fu l’uomo che dominò la steppa e che si pose a capo del più grande degli eserciti. Bodrov realizza un film scevro da intellettualismi e da romanticherie spicciole, (pur strizzando l’occhio ad un’evidente e mai sgradevole spettacolarità), e in cui risulta particolarmente gradevole la profonda prova di un attore non mongolo, il giapponese Tadanobu Asano, uno dei più importanti ed eclettici interpreti del Sol Levante.
(Mongol) Regia: Sergei Bodrov; sceneggiatura: Sergei Bodrov, Arif Aliyev; fotografia: Sergey Trofimov, Rogier Stoffers; montaggio: Zach Staenberg; interpreti: Tadanobu Asano (Temudgin), Honglei Sun (Jamukha), Khulan Chuluun (Borte), Odnyam Odsuren (Temudgin da giovane), Aliya (Oelun); scenografie: Dashi Namdakov; costumi: Karin Lohr; musiche: Altan Urag; produzione: CTB Film Company, Andreevskiy Flag Film Company, X-Filme Creative Pool, Kinofabrika GmbH, Kinofabrika GmbH; distribuzione: Bim; origine: Kazakistan, Russia, Germania 2007; durata: 120’
