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MR 73 - L’ultima missione

Pubblicato il 23 aprile 2008 da Fabiana Proietti


MR 73 - L'ultima missione

Dimenticate 36 Quai des Orfèvres, dove l’essenza noir dei personaggi e di un destino fatalmente inseguito fino all’ultimo respiro lasciava ancora ampio margine all’action movie: MR 73 – un titolo tanto secco e duro come l’anima della pellicola – è un’altra storia, un altro cinema. In cui, pur proseguendo un discorso personale –già avviato con Gangsters – sempre incentrato sul mondo che da ex ufficiale gli è più familiare, l’ambiente marcio della polizia giudiziaria, Olivier Marchal utilizza un registro ancor più grave dei precedenti per un film di rassegnata e cupa disperazione.
Il vero dramma non sta nelle indagini, che sono addirittura due, nel presente e nel passato, a racchiudere i piani temporali in cui il film si muove, ma in quello tutto interiore di Schneider, uomo di legge ormai alla deriva. E’ chiaro sin dalle prime battute, dalle prime immagini che isolano il volto tormentato di Daniel Auteil, offerto nudo e vulnerabile allo sguardo dello spettatore grazie a una fotografia completamente desaturata che ne solca i pori e le rughe, rivelando i segni di un’esistenza travagliata.

Marchal entra nella notte interiore del suo protagonista, ne segue il calvario personale con un’escalation di inquietudine e disperazione, arrivando lì dove tutto inevitabilmente si conclude. Quello di Schneider è infatti un personaggio già morto nel momento in cui appare sullo schermo, un cadavere nell’anima che si aggira per una città spettrale, una Marsiglia da cui sembrano epurati quegli elementi di vitalità, di solarità che invece le appartengono.
La città del gangster movie più classico, violenta ma sempre luminosa – si pensi all’incipit di Il braccio violento della legge che la contrappone alla fredda e sporca New York – diventa in MR 73 soltanto vecchia e malandata, corrispettivo necessario di un personaggio in caduta libera. La via crucis di Schneider si consuma tra incrostati café e monolocali sordidi, così come gli interni della centrale di polizia, scantinati umidi dove gli agenti si ritirano per condurre i propri loschi traffici.
Marchal costruisce un noir radicale, senza concessioni ai cliché del genere, rinunciando a priori a riferimenti cinefili che inficerebbero la forza dell’opera, così come a modelli di regia à la page in cui la forma finisce per mangiare il contenuto.
In MR 73 è invece palpabile l’amore dell’autore verso la storia e i suoi personaggi, oltre allo Schneider di Auteil, anche le due figure femminili, la bionda e apparentemente algida Marie, lacerata dal senso di colpa nei confronti del collega, e quello fragile, vulnerabile di Justine, con un’infanzia divorata dall’uomo nero. Sono personaggi speculari, imprigionati in un passato che dilaga nel presente e consumati da un senso di colpa che appare atavico e connaturato alla stessa, fallibile, natura umana, come sintetizza l’immagine del crocifisso insanguinato, in un finale carico di simboli religiosi che finiscono per sottolineare l’estrema solitudine e disperazione dell’esperienza umana.
Un uomo che non trova altra strada per mettere fine alla sua pena che uccidersi mentre un bambino nasce urlando e piangendo, metafora di una vita che già nel suo costituirsi si rivela dolorosa: un gioco simbolico retorico, probabilmente moralista e fastidioso se non fosse posto a sigillo di un’opera così sincera e passionale.

Ed è proprio questo il dato paradossale più attraente nella pellicola di Marchal: la passionalità che anima i personaggi come lo stesso autore, capace di costruire una storia che, pur essendo imperniata costantemente sul dolore e la morte, ci racconta invece assai meglio di altri la vita che pulsa e il battere di un cuore. Fin quando non smette. De battre mon coeur c’est arrêté recitava il titolo di un altro bellissimo noir d’oltralpe, diretto dall’altro cineasta più talentuoso della cinematografia francese: Jacques Audiard, anche autore dello straordinario Sulle mie labbra. Anche i suoi personaggi si dibattono tra ferite esistenziali ma soprattutto fisiche, arrivando a rivelare la propria essenza tramite una sofferenza che è prima di tutto corporea, e fa corrispondere l’ubriachezza di Auteil in MR 73 al sangue che impregna Romain Duris in Tutti i battiti del mio cuore. Ci sembra allora che la rinascita del cinema francese sia all’insegna di una fisicità sinora inespressa e laddove i cineasti del passato si erano soffermati sull’intelletto e la sfera emotiva, il presente non può prescindere dal raccontare il corpo e le sue ferite.


CAST & CREDITS

(MR 73) Regia e sceneggiatura: Olivier Marchal; soggetto: dal romanzo di Hugues Pagan L’ingenuità delle opere fallite; fotografia: Denis Rouden; montaggio: Raphaëlle Urtin; musiche: Bruno Coulais; interpreti: Daniel Auteil (Louis SChneider) Olivia Bonamy (Justine) Catherine Marchal (Marie Angéli); produzione:LGM Productions, Gaumont Production, Medusa Produzione, Studio Canal;distribuzione: Medusa; origine: Francia 2008; durata: 121’; web info: sito ufficiale


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