My Brothers - Roma 2010 - Alice nella città

Come si può creare un legame tra un padre che sta morendo e dei figli troppo piccoli per averlo realmente conosciuto, affinché il tempo che passa non cancelli in loro il suo ricordo?
Questa la preoccupazione di Noel, il protagonista di My Brothers, opera prima dell’irlandese Paul Fraser.
In veste di fratello maggiore – l’unico ad avere un trascorso effettivo con il padre – Noel è tormentato dall’idea che la memoria del genitore possa andare persa per i fratelli del titolo: Paudie, un arrogante preadolescente tifoso accanito del Liverpool, e Scwally, un bambino fissato con Guerre Stellari (da grande vuole fare il cavaliere Jedi, va sempre in giro con una spada laser autoprodotta e invoca l’intervento di Luke Skywalker per risolvere i suoi problemi).
Un viaggio “on the road” per rimpiazzare l’orologio preferito del padre diventa il pretesto per rinsaldare il rapporto tra fratelli e per ripercorrere insieme a loro quella strada che Noel stesso aveva fatto col padre anni prima, durante una gita al mare.
Il viaggio, funestato da ogni genere di imprevisto, sembra creare più litigi e incomprensioni che altro, ma infine – più che evocare il fantasma di una persona assente - consente ai tre fratelli di conoscersi meglio e di gettare le basi di quella che sarà la loro vita dopo il tragico evento della morte del padre.
Il delicato tema della memoria e degli affetti/responsabilità familiari è affrontato con intelligenza e levità, soprattutto grazie alla carica ironica garantita dalla presenza del piccolo Scwally, il cui interprete brilla di una bravura notevole, pur all’interno di un cast di attori tutti esordienti e tutti veramente talentuosi. Fraser riesce quasi sempre a sfuggire alle tentazioni sentimentalistiche che facilmente minano un percorso del genere, ma è’ anche vero che talvolta il film incappa in qualche goffaggine in sede di sceneggiatura, come l’incontro di Paudie con un pedofilo, una situazione forse un po’ troppo pesante e complessa per essere liquidata come fugace incidente di un “road trip”. E non manca neanche – purtroppo - almeno un piccolo cedimento al patetismo: i classici filmini familiari del padre in salute che gioca col figlio maggiore sulla spiaggia che aprono e chiudono il film. Da un punto di vista registico invece quest’opera prima non ha sbavature, e non si direbbe neanche il lavoro di un esordiente; forse grazie alla riuscita scelta di girare in maniera asciutta e mai altisonante. Il lirismo è comunque garantito dall’ambientazione nelle campagne irlandesi, che trasmettono anche lo specifico senso di appartenenza di una storia che è – sotto ogni altro aspetto – universale. La visione poetica è ricercata nella sola sequenza – comunque efficace – dei due fratelli minori che giocano con i fuochi d’artificio.
Un film complessivamente riuscito, specialmente per la scelta di non caricare tre ragazzi troppo giovani di una consapevolezza sulla vita e la morte e sui rapporti familiari che non può appartenere alla loro età. Nonostante il finale conciliatore, infatti, alcune lacune ed incomprensioni vengono lasciate giustamente aperte, senza cercare di ricucire tutti quei fili impossibili da ricomporre nella realtà stessa.
(My Brothers) Regia: Paul Fraser ; sceneggiatura: William Collins ; fotografia: ; montaggio: Emer Reynolds ; musica: Gary Lightbody, Jacknife Lee ; scenografia: ; interpreti: (Timmy Creed), (Paul Courtney), (TJ Griffin), (Kate Ashfield); produzione:Rebecca O’Flanagan, Rob Walpole ; distribuzione: ; origine: Irlanda ; durata: 84’.
