MY FATHER

Gli ultimi anni di Josef Mengele, l’angelo della morte, il boia dell’Olocausto che dopo la seconda guerra mondiale si nascose in Sud America passando per un tranquillo cittadino. Mengele è stato uno dei criminali nazisti più spietati. Un medico genetista che operava all’interno di Auschwitz-Birkenau selezionando i deportati, decidendo per loro la vita o per la morte, conducendo abominevoli esperimenti sui bambini, in particolar modo sui gemelli. Il film è tratto dal romanzo Papà, dello scrittore Peter Schneider e nasce da una coproduzione italiana, brasiliana e ungherese sul tema del nazismo. Il lavoro di Eronico racconta l’esperienza del giovane Hermann, il figlio del boia, il ragazzo che ebbe modo di incontrare il suo inquietante genitore una sola volta, in gran segreto. Era il 1977 e Mengele (il cui nome nel film non è mai citato) si nascondeva a Manaus in Brasile, in una favela dove tutti lo conoscevano come il “dottore”. Il cuore della vicenda sta nel tormento interiore del giovane, diviso tra il violento disprezzo nei confronti del padre, che diventa odio, e l’impossibilità di affrontare questo stato emotivo con gesti esteriori e manifesti. La coscienza di Herman è spaccata fra il dovere (storico, civile, morale) e il legame filiale. Hermann, nelle mani, negli occhi e nei movimenti del rampante attore tedesco Thomas Kretschmann, rinuncia a denunciare il genitore per percepire con maggiore nitidezza la colpa di essere figlio di un criminale assassino, cinico e razzista. Egli accetta la crescita di tale senso di colpa e ne vive fino in fondo il dolore, nel tentativo di distaccarsi definitivamente da un fantasma così insopportabile. Inutilmente, interroga il padre sul suo passato, senza ottenere mai un pentimento. Si accorge del suo aver agito per un’ideale nel quale ancora crede e che gli altera la percezione di ogni cosa. Mengele non risulta un folle o un depravato, ma un uomo, un padre di famiglia che riconduce alla “normalità” i suoi crimini rendendoli per ciò ancor più riprovevoli e terrificanti. Significativa la scena in cui il padre guarda compiaciuto un arcadico film tedesco di montagna, emblema della propaganda ariana, mentre il figlio interrompe il fuorviante sogno di "purezza" mostrando un video con i cadaveri di Auschwitz, che il "dottore" rifiuta. O il generale contrasto stridente fra l’anziano che ride di Charlot assieme ai bambini della favela e lo scienziato sadico che i sopravvissuti e la Storia hanno raccontato. Gli incubi di Hermann conducono lo spettatore nel compiersi terrificante della Shoah ma il regista misura con attenzione la raffigurazione del dolore, non mostrando in maniera esplicita la sopraffazione e scegliendo immagini sempre distanti dalla volgare spettacolarizzazione. Questo è il merito principale di un film un po’ didascalico e scontato nella regia che sfrutta una sceneggiatura di notevole complessità sul piano della struttura narrativa e della consequenzialità dei tempi. Evidentemente gli autori (Antonella Grassi, Fabio Carpi e lo stesso Peter Schneider) hanno inseguito la rappresentazione non superficiale di un incontro dalle implicazioni psicologiche pesanti. La parte del boia, di Josef Mengele, è interpretata da Charlton Heston. Il passaggio da Mosè e Ben Hur, alla figura di Josef Mengele, ovvero dai profeti e gli eroi dell’ebraismo al genetista criminale del nazismo e di Auschwitz, rappresentano un paradosso per l’anziano Charlton Heston, una delle leggende di Hollywood. Curiosamente, anche Gregory Peck ha vestito i panni di Mengele nel fantathriller I ragazzi venuti dal Brasile (1978).
Giugno 2006
Regia: Egidio Eronico, Sceneggiatura: Peter Schneider, Fabio Carpi, Antonella Grassi, Egidio Eronico; Fotografia: János Kende; Montaggio: Raimondo Aiello Carretta; Musiche: Riccardo Giagni; Scenografia: Ettore Guerrieri Zastupnevich; produzione: Italia, Ungheria, Brasile, Anno 2001
