Nessuna qualità agli eroi

Prima le certezze, più comode delle scomode incertezze. Dei dubbi da esprimere faticosamente, e non senza dispiacere, per un film importante, delicato e complicato da trattare. La pellicola è piena di eleganza, di energia luminosa e di forma estetica. E’ un gesto coraggioso verso un’autorialità sincera, scomoda e integrale. Una reazione decisa ai consigli del mercato. E a certe forme autoriali più morbide ed omologate, spesso giovanili e di lingua italiana. Le inquadrature, preziose, fanno dello spazio scenico una chiara intenzione formale, il segno di un pensiero profondo sull’opera. Corpi e volti, occhi, pelle, pori e peli si fondono col colore, con la geometria e gli oggetti filmati, fino a fare del film un momento di cinema per palati, e soprattutto per occhi, vogliosi di qualità. Ed è, questo, un piacere lieve e costante che accompagna l’osservatore dall’inizio alla fine del passaggio tortuoso in un film labirintico, fitto di ombre, enigmi irrisolti e trappole. Il silenzio imbarazzato che accompagna la fine della proiezione è il segno più chiaro di un film atteso e quantomeno non compreso. E di cui arrivano informazioni e chiavi interpretative che prescindono dalla visione: inviti alla lettura che lasciano l’osservatore alle prese con una faticosa ricostruzione a posteriori (ed a memoria) del film, senza, per altro, arrivare a risposte molto diverse da quelle che l’avevano raggiunto durante la proiezione. Gli attori si caricano di tanta volontà e il loro esercizio è generoso ed equilibrato, pieno di fiducia nell’opera e zeppo di talento artistico, ma da subito in battaglia con la pericolosa altezza tematica del film e soprattutto con la strategia narrativa intrapresa dall’autore. E se a un regista che si carica di tanta responsabilità (e ambizione) va garantita la massima fiducia e tutta la disponibilità del mondo (per di più se è alla seconda opera dopo un esordio, La spettatrice, accettato dalla critica, ma semi sconosciuto al pubblico), va detto che la sensazione di distanza dal desiderio espressivo dell’autore, lascia addosso un certo fastidio e il dubbio (non piacevole) sulle percentuali di responsabilità che costituiscono l’incomprensione. Pare che dentro Nessuna qualità agli eroi non basti vedere quel che si vede: la storia di un uomo con tre grossi problemi, la sterilità, un debito enorme e un rapporto tremendamente difficile col padre. Pare che oltre alla questione del parricidio, del rapporto tra conscio ed inconscio e della per nulla chiara relazione che si istaura tra il protagonista Bruno e il suo doppio (un strizzato e super disponibile Germano), si debbano utilizzare ad ogni passo le lezioni di Freud, di Lacan e di Jung. Il film pare vittima di un’eccessiva presunta profondità e di un’ intelligenza tutta sua presentata come superiore a quella degli spettatori, e ad essi inaccessibile. Per ciò, oltre a lasciarli privi di un autentico e completo piacere, il film perde l’occasione per completarsi e comunicare con loro. Bisogna accontentarsi degli sprazzi di un cinema colto e freddo, al quale bisogna avvicinarsi senza passione e col latente senso di colpa per non essere sufficientemente preparati. Si possono salvare ed apprezzare alcune delle parti, ma non lo spirito, l’essenza generale e definitiva del film.
(Nessuna qualità agli eroi); Regia: Paolo Franchi, sceneggiatura: Paolo Franchi, Daniela Ceselli, Michele Pellegrini; fotografia: Cesare Accetta; montaggio: Alessio Doglione; musica: Martin Wheleer; produzione: Beppe Caschetto e Anastasia Michelagnoli per i.t.c. movie, Donatella Botti per Bianca film, Elda Guidinetti, Andres Pfaeffli per Ventura film, in collaborazione con RAI cinema, RTI, RTSI televisione svizzera, con il sostegno di Mibac e Film commision torino Piemonte; distribuzione: BIM; origine: Italia, 2006
