No Man’s Land - Concorso
Sarà forse il cinema di genere a salvare il concorso della Berlinale 2014? In un’edizione quanto mai deludente che ha visto anche l’assenza del film di punta (basti ricordare Intimacy di Patrice Chéreau nel 2001, Una separazione di Farhadi nel 2012 o Il caso Kerenes di Peter Călin Netzer la scorsa edizione, per restare a tempi più recenti ) tra i prodotti migliori si fanno notare decisamente quelli che ripropongono, anche in chiave di commedia, gli stilemi del cinema di genere. Tra questi la Cina fa la parte del leone con Black Coal, Thin Ice di Diao Yinan, Blind massage di Lou Ye (che purtroppo dopo un inizio promettente scivola nel più fastidioso melò) e soprattutto con No man’s land del giovane regista Ning Hao (classe 1977), autore di pellicole dai titoli come Mongolian Ping Pong (2004) , Divorce in a Chinese Way (2004), Crazy Stone (2005) Crazy Racer (2007) Guns and Roses (2012).
Questa è una storia di animali avverte in forma di voice over il protagonista Pan Xiao all’inizio del film, e racconta poi un aneddoto sulle scimmie che nella notte dei tempi decidono di cooperare per salvarsi dai nemici e, così facendo, si trasformano in uomini. Chiamato a difendere un cacciatore di frodo di falchi destinati a principi arabi, Pan Xiao è un giovane avvocato cinico e senza scrupoli che pensa di poter fare a meno della cooperazione animale/umana o quanto meno di essere l’esemplare alfa del branco di lupi in cui finisce: risolto brillantemente il caso, infatti, si trova nello splendido e sterminato deserto cinese del Taklaman, che non ha proprio niente da invidiare ai panorami del Crand Canyon. Un non-luogo in cui le leggi di cui lui brillantemente si serve in tribunale, distorcendole a suo favore contro le normative dell’etica, non esistono più, e domina appunto l’homo homini lupus, per il quale cui non valgono soldi o successo ma ciò distingue le vittime o dai carnefici è solo avere un’arma in mano (e se ne vedono parecchie, asce, martelli, pistole spropositate, ma in mancanza di altro, anche gli enormi pick up vengono freddamente usati per uccidere le persone investendole). Ma la nascita dell’uomo moderno, riflette Pan Xiao, avviene soprattutto quando comincia ad usare il fuoco. E per difendersi anche di fuoco se ne vede parecchio, con un uso piuttosto disinvolto della benzina ed esplosioni spettacolari.
Per tornare in città, dove lo attende una conferenza stampa e le luci della ribalta, Pan Xiao sottrae con furbizia al suo cliente una macchina rossa, destinata a portargli parecchia sfortuna: è infatti la causa di una serie di incontri con personaggi e situazioni sempre più assurdi, grotteschi e violenti, che molto devono a Pekinpah, a Sergio Leone, Tarantino, allo Spielberg di Duel, per movimentare (anche troppo?) una sceneggiatura che strizza l’occhio ai fratelli Coen di Blood Simple (anche qui cadaveri che si risvegliano e gente che viene seppellita viva, oltre a tre personaggi, un malloppo, una donna e parecchi incroci del destino) e al John Huston del Maltese Falcon, anche se questa volta i falchi sono vivi ma per il loro valore è come se fossero d’oro massiccio, o meglio, come diceva lo shakespeariano Humprey Bogart nel finale, “della materia di cui sono fatti i sogni”.
Girato con grande maestria tecnica e profusione di dolly, campi lunghi e lunghissimi alternati a intensi primi e primissimi piani nel miglior stile western, No mans’ land oscilla tra grottesco e ironia e come tutti i noir e western che davvero si rispettino ha una fortissima connotazione morale, quasi moralistica: tutti i personaggi a loro modo hanno un’etica, seppure distorta, seppure frutto del sonno della ragione che genera mostri, ogni atto ha una conseguenza, ogni uomo è amico o nemico a seconda di come si comporta. Il vero mostro tra loro è proprio il giovane Pan Xiao, in quanto non agisce spinto dalla necessità bensì per brama di potere, ma come in tutti i noir e western che davvero si rispettino, i protagonisti cambiano idea, si sacrificano e se ne vanno in un gran finale. E come direbbe James Coburn: miccia corta.
(Wu Ren Qu); Regia: Ning Hao; sceneggiatura: Ning Hao, Shu Ping, Xing Aina; fotografia: Du Jie; montaggio: Cheung Yuan; musica: Nathan Wong; interpreti: Xu Zheng, Yu Nan, Huang Bo, Duo Bujie; produzione: China Film Group, Injo Films; origine: Repubblica Popolare Cinese, 2013; durata: 117’