Nostalgia della luce
A pochi giorni dall’uscita in sala dell’orso d’argento 2015 per la sceneggiatura, La memoria dell’acqua, arriva nei cinema italiani anche il lavoro precedente del regista Patricio Guzmàn. Classe 1941, Guzmàn è un esponente di quel Nuovo Cinema cileno che vide la luce negli anni Settanta come gran parte delle Nouvelle Vague terzomondiste e che fu spazzato via dalla dittatura del generale Pinochet. Il suo Nostalgia della luce, del 2010, si fa testimone della storia cilena e soprattutto del bisogno di memoria.
Non a caso il suo film esplora programmaticamente, e poeticamente, proprio il tema del passato, della necessità di ricordare per poter esistere, per poter non essere “niente”.
E lo fa riconducendo questo bisogno di passato innanzitutto ad una necessità che è sia biologica che metafisica, ed accomuna tutti gli uomini di tutte le epoche storiche e preistoriche: la domanda “da dove veniamo?”.
Quella stessa domanda che ha portato gli scienziati, e nello specifico gli astronomi, a scoprire che indagando il cielo – un’attività anch’essa vecchia come l’essere umano – non vediamo che il passato, riflessi di luce provenienti dall’origine dei tempi.
Nel deserto di Atacama, in Cile, sono stati costruiti i telescopi più grandi del mondo, perché la limpidezza assoluta del cielo ne fa il luogo più privilegiato dell’intero pianeta per osservare lo spazio.
In quello stesso deserto gli archeologi osservano il passaggio, inciso sulle rocce, dei nostri antenati, che lasciarono traccia di se con la pittura rupestre e i cui corpi vengono conservati perfettamente dal clima.
In quello stesso deserto, infine, le donne (madri, sorelle, mogli e figlie) cercano i corpi dei desaparecidos assassinati durante gli anni della dittatura.
Un passato ancestrale, uno archeologico ed uno prossimo, solo ad uno sguardo superficiale considerabili cose distinte ma accomunati da un nesso profondo, allo stesso modo del calcio delle ossa umane che è il medesimo presente nelle stelle, come osserva uno dei ricercatori del centro astronomico del deserto di Atacama.
Due passati, quello dell’universo e quello archeologico, che sono oggetto di grandi ricerche e curiosità, ed uno – quello prossimo – che si cerca di obliterare e relegare nell’oblio, ma che è destinato a venire alla luce come le ossa dei desaparecidos. La sensibilità di Guzmàn ricorda da vicino quella di Werner Herzog, per cui è la natura con il suo muto mistero a svelarci i segreti più nascosti di noi stessi: impossibile non pensare al suo spazio riprodotto nei fondali marini di L’ignoto spazio profondo quando Nostalgia de la luz mette in relazione profondità della terra e del cielo; o anche alle pitture rupestri di Cave of Forgotten Dreams quando vediamo le incisioni sulla pietra degli indios.
Con questa ricerca trasversale Guzman realizza una poetica apologia dell’essere umano e del nostro essere nel cosmo che è l’atto d’accusa più duro possibile nei confronti delle atrocità della dittatura e della bieca sordità delle istituzioni di fronte alle richieste dei parenti delle vittime e dei sopravvissuti.
(Nostalgia de la luz) Regia: Patricio Guzmàn; sceneggiatura: Patricio Guzmàn; fotografia: Katel Djian; montaggio: Patricio Guzmàn, Emmanuelle Joly, Ewa Lankiewicz; musica: Freddy Gonzales; produzione: Atacama Productions; distribuzione: Blinker Filmproduktion; origine: Cile, Francia, Germania; durata: 90’.