Roma 2015 - Intervista a Luca Ferrari regista di Showbiz
C’è il sole martedì 20 ottobre alla Festa del Cinema di Roma. Non sarà un caso, vista la presentazione di Showbiz, il nuovo docu-film diretto da Luca Ferrari, a tre anni di distanza da quel Pezzi che vinse il premio Doc It – Prospettive Italia Doc per il migliore documentario italiano proprio al Festival Internazionale del Film di Roma nel 2012, candidato poi al David di Donatello. Al termine della proiezione ci viene permesso di scambiare qualche domanda con Luca Ferrari, sguardo vispo, dai modi educati e disponibile a soddisfare ogni più più piccola curiosità.
Nel 2012 hai esordito con il docu-film Pezzi. Ora con Showbiz, presentato come "il lato B de La grande bellezza", sei tornato a mostrare il lato nascosto di Roma. Perchè ti interessa di più questo lato, rispetto ad altri?
Luca Ferrari: La risposta è semplice: perché trovo questo lato più autentico e genuino, rispetto ad altri, quello più vero possibile, che mi offre storie degne di essere raccontate, spesso che pochi conoscono, ma che si rivelano sempre molto interessanti e coinvolgenti. E Roma è una città che offre molte storie di questo tipo.
Con Showbiz hai dichiarato di non aver avuto interesse nel giudicare, ma semplicemente mostrare e raccontare delle storie. Possibile che nel film non sia presente nemmeno una critica sottintesa nei confronti del trattamento che ricevono le donne?
L.F.: No, assolutamente. Come già detto, il mio desiderio non è stato quello di giudicare, criticare o denunciare niente e nessuno. Ho semplicemente filmato delle storie, volevo che venissero conosciute e raccontate per renderle apprezzabili. Non c’è stato alcun interesse nemmeno nel criticare la condizione delle donne che compaiono nel film, perché allora (un po’ come oggi) era così, succedeva e basta. Ci tengo a precisare che in Showbiz (così come in Pezzi) non è presente alcuna giudizio, né di tipo morale, né politico. Poi è chiaro che sta allo spettatore giudicare, o meglio interpretare a modo suo ciò che ha visto e recepito: per questo motivo ritengo sia errato parlare anche di sguardo oggettivo, perché il termine oggettivo in sé non esiste, non ha alcun significato. Esiste sempre un’interpretazione ma, come detto, non era l’obiettivo che mi sono preposto. E’ lo spettatore che giudica e interpreta.
In Showbiz ci vengono raccontate le vite di quattro personaggi legati al mondo dello spettacolo e della televisione, soprattutto nell’ambito dell’etere romano. Da ciò riemerge quella condizione professionale propria degli anni Ottanta e Novanta. Credi che la televisione sia cambiata molto rispetto a quei tempi?
L.F.: No, non credo. La tv resta sempre la stessa. Certo, oggi esistono le pay-tv, nuove tecnologie, ma il succo non cambia: esiste sempre quel velo di finzione e irrealtà al quale chiunque avvicini le proprie vite o le proprie carriere alla televisione deve sottostare. E’ sempre stato così e credo che questo difficilmente cambierà. Non fa differenza che si stia parlando di etere romano o nazionale. Poi, io non ho mai vissuto in prima persona quegli ambienti, non ho mai partecipato in modo diretto a ciò che si vede nel film, se non per lavorare al film stesso, quindi posso solo supporre che sia così.
Uno dei quattro personaggi protagonisti del film (Schultz) ha dichiarato di tornare spesso nei locali, perchè il tempo che vi trascorre lo aiuta a dimenticare. Dimenticare cosa, nello specifico?
L.F.: I problemi della vita quotidiana, immagino. Shultz, come gli altri personaggi del film, vive una vita molto comune, al dì fuori dei locali, lontano dal dietro le quinte degli spettacoli e dalle persone che lo hanno coinvolto professionalmente. Per lui questo è un modo di staccare la spina. Il fatto che abbia trascorso anni della sua vita accanto a celebrità o dietro le quinte di uno show televisivo, non significa che viva senza pensieri. Questo vale anche per gli altri, immagino.
Sia con pezzi che con Showbiz hai raccontato storie tratte dall’ambiente romano. In futuro hai intenzione di orientare il tuo sguardo anche al di fuori della città di Roma?
L.F.: Bè, non posso dirtelo con certezza. L’unica cosa certa è che mi piace Roma perché riesce a offrire storie così che catturano la mia attenzione. Io vivo a Roma e, in un modo o nell’altro, tutto ciò mi interessa e riguarda da vicino, come cittadino. Potrei anche guardare altrove, ma non vedo perché città come Napoli o altre potrebbero offrirmi storie più interessanti o che vale ancor più la pena di raccontare rispetto a Roma. Basta guardarci intorno per capire che qui abbiamo tutto ciò di cui necessitiamo. Adoro Roma perché riesce a proporre sempre nuovi punti di vista su argomenti diversi.
In entrambi i tuoi film hai avuto il piacere di lavorare assieme a Valerio Mastandrea (che ha prodotto il film in collaborazione con Simone Isola e Paolo Bogna per KimeraFilm). Com’è lavorare con lui? Che rapporto si è creato tra voi due?
L.F.: E’ stato un piacere lavorare con Valerio Mastandrea e con gli altri. Credo fermamente che l’aspetto che lui ha più apprezzato del mio lavoro riguardi il non giudicare, la semplice volontà di raccontare delle storie. Per questo motivo tra me e lui si è sviluppato in breve tempo un rapporto di fiducia. Fiducia e rispetto sicuramente reciproci.