TFF 2013 - Considerazioni finali
È stato un bel festival. Il primo (e anche ultimo?) TFF con la direzione artistica di Paolo Virzì si chiude quindi, stando ai dati pubblicati sul sito, con ottimi numeri per incassi, che fanno registrare un incremento del 34%, e presenze.
184 i film che, selezionati su oltre 4000 titoli, hanno scandito il ritmo serrato delle proiezioni. Qualità media discreta con alcuni film, in concorso ma non solo, che spiccano per linguaggio e valore. Merito da sottolineare quello di avere portato in programma alcune delle chicche che hanno animato festival di maggiore potenza ed importanza nella stagione che volge ormai al termine. Su tutti, giusto citare i Coen, con il loro splendido Inside Llewyn Davis, e Jarmush con l’ipnotico Only Lovers Left Alive. Ma progetti interessanti, per restare in Festa Mobile, si sono rivelati anche All is Lost di Chandor, con un Redford in stato di grazia in una prova impegnativa tanto sul lato psicologico che su quello fisico, o il polacco Ida, di Pawel Pawlikowski, nel suo rigoroso ed elegante bianco e nero.
Venendo alla competizione ufficiale, risultano più che giustificabili le scelte finali della giuria presieduta da Guillermo Arriaga. Il premio principale va al messicano - proprio come Arriaga - Club Sandwich, di Fernando Eimbcke, delicata ma incisiva parentesi su quell’età - la pubertà - in cui cambiamenti e pulsioni sconvolgono qualsiasi ricerca di equilibrio. Uguale sorte avrebbe meritato forse Pelo Malo, venezuelano, di Mariana Rondòn, che si aggiudica comunque riconoscimenti per sceneggiatura e attrice. Anche in questo caso è l’adolescenza in primo piano, in un dialogo fitto con la degradata realtà urbana - Caracas - e l’urgenza di una identità da acquistare ed esibire. È Gabriel Arcand, poi, per il canadese Le démantèlement di Sébastien Pilote, amara e compassata riflessione sugli effetti della crisi economica nella vita di un ristretto nucleo familiare, a vincere il premio per il migliore attore. La giuria ha destinato poi a 2 Automnes 3 hivers, firmato da Sebastian Betbeder, il premio speciale. Al suo posto avemmo visto meglio lo spagnolo La Plaga, di Neus Ballus, per il coraggio della narrazione e la bravura di alcuni interpreti (attori non professionisti.) A Pif e al suo La mafia uccide solo d’estate va il premio del pubblico, esito abbastanza scontato per un lavoro che ha saputo conquistare da subito anche la stampa, e che saprà farsi valere in sala. Recuiem, bell’esordio alla regia di Valentina Carnelutti, vince per il suo cortometraggio, mentre il siciliano Edoardo Morabito, anche lui alla prima prova, si aggiudica il riconoscimento come miglior documentario italiano con I fantasmi di San Berillo, coraggioso e poetico ritratto di un quartiere fantasma catanese. Chiudono il palmares A Spell to Ward Off the Darkness, di Ben Rivers e Ben Russell, miglior documentario internazionale.
Non ci fosse stato un calendario così fitto, sarebbe stato bello godere ancora di più della splendida retrospettiva dedicata alla New Hollywood (l’anno prossimo la seconda e conclusiva parte) curata da Emanuela Martini. Le si deve un grazie sincero per aver riportato sugli schermi la possibilità di godersi in pellicola film straordinari per vitalità e innovazione. Avere l’occasione di emozionarsi ancora davanti a The Last Picture Show, The Last Detail e Midnight Cowboy, California Split - ma tanti sarebbero i titoli da citare - era da cogliere al volo.
Non sono mancate le solite polemiche, in realtà piuttosto sacrificabili. Si è iniziato con la stoccata di Virzì al Festival di Roma - infinitamente più ricco nel budget e certamente migliorabile - in relazione alle spese sostenute per assicurarsi sul red carpet capitolino la presenza di alcune star internazionali. Più stucchevole e senza dubbio evitabile, poi, lo scambio di battute tra Mazzacurati, cui è andato il Gran Premio Torino, e Ken Loach che quel premio lo aveva rifiutato l’anno scorso, in segno di solidarietà con gli operai della Rear licenziati illegittimamente dal Museo del cinema.
Il successo maggiore del festival, però, è quello di avere conservato la propria identità, senza disperdere quell’entusiasmo e quella freschezza - pur in una stagione piuttosto complessa - che da sempre lo caratterizzano, rendendolo in Italia uno dei Festival meglio integrati con la realtà urbana ospitante. Un Festival che di glamour non ha proprio nulla e che forse si avvicina più di tanti altri ad una idea sana e proficua di festa in cui il cinema, nei suoi differenti linguaggi e diverse latitudini, può essere reale protagonista.