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Nymphomaniac Volume I

Pubblicato il 3 aprile 2014 da Giovanella Rendi


Nymphomaniac Volume I

Prima di recensire Nymphomaniac volume I, sarebbe forse più corretto attendere di vedere anche il volume II, perché si presume si tratti di un’unica opera e che vada considerata nella sua totalità. Nell’impossibilità al momento di poterlo fare per questioni di distribuzione e di censura che cambiano da paese a paese, bisogna giocoforza limitarsi a quanto è stato proiettato oggi alla Berlinale 2014 fuori concorso. Sembra ormai quasi superfluo sottolineare l’abilità demoniaca di Lars von Trier nel manipolare i media a suo favore, ritagliandosi pure la parte della vittima: da mesi ormai pettegolezzi sul set, locandine orgasmiche, dichiarazioni degli attori stuzzicano la pruriginosa curiosità del pubblico e degli addetti ai lavori (alla proiezione stampa ci si è quasi calpestati per entrare, neanche si fosse ad un concerto rock) a riprova che il porno non è affatto qualcosa di scontato e alla portata di tutti, o che lo è finchè non ci mette le mani il cinema d’autore.

Nymphomaniac volume I è tutto tranne che un film, non diciamo pornografico, ma nemmeno erotico. Come era legittimo attendersi, è un film filosofico, mortifero, cerebrale e disperato, in cui il sesso è stato abilmente scelto come uno dei mille possibili comportamenti che l’essere umano adotta per canalizzare/rimuovere/manipolare la sua infelicità. Dietro alle scene di sesso interpretate da attori di film pornografico, dietro ai primi piani di falli e vagine, sesso orale e sesso anale, non c’è altro che un banalissimo desiderio dell’ amore della gelida e anaffettiva madre da cui la protagonista viene rifiutata sin dall’infanzia, e che il tenerissimo padre non riesce a compensare. La pornografia è solo un pretesto, suggerirla anziché mostrarla non avrebbe cambiato più di tanto le cose, ad eliminarla sarebbe venuto fuori un film elegante e cerebrale, anche migliore, ma privo dell’aura sulfurea (e redditizia) dello scandalo.

Il film infatti non parla di sesso, ma praticamente di tutto il resto, in pratica condensa in pillole la storia della conoscenza umana. Si apre sulle immagini di strani edifici fatiscenti in mattoni sotto una pioggia metallica, poi la macchina da presa si insinua in uno strano pertugio nel muro simile a quello di un forno crematorio e finisce nel nero più fitto. La protagonista Joe, svenuta e sanguinante per strada, viene salvata dal saggio Seligman, che la mette a letto dopo averle fatto indossare un pigiama a righe che ricorda sinistramente le divise dei campi di concentramento. Seligman è di origine ebraica ma ha uno strano rapporto con le sue origini (“sono antisionista, non antisemita” dichiara all’inizio, tanto per ricordarci la querelle che era costata l’espulsione di von Trier da Cannes durante la famigerata conferenza stampa di Melancholia) . Siede accanto al letto su cui è sdraiata la sua “paziente” con la quale avvia un vero e proprio colloquio filosofico/psicanalitico, il cui scopo è arginare con i più disparati argomenti il senso di colpa della protagonista. La quale vive la sua malattia non come tale bensì condannandola su un piano morale (“sono una persona cattiva”) che si presume di stretta derivazione cattolica, dato che poi emerge che non fa del male a nessuno ma sono anzi gli uomini di cui le crede di servirsi a fare del male a lei e ad altre donne (e qui purtroppo non possiamo dilungarci su una meravigliosa sequenza con al centro Uma Thurman moglie tradita che realizza un capolavoro di manipolazione e sensi di colpa).

Per arrestare tutta questa autoflagellazione morale (che nel vol. II sembra che diventi anche materiale, dato che voleranno frustate e altro) Seligman ricorre dunque ad una sorta di prontuario enciclo(wicki)pedico per ingabbiare in categorie del pensiero, e quindi motivare razionalmente, i comportamenti della protagonista. Prontuario che comprende la pesca con la mosca, la successione numerica di Fibonacci, la struttura armonica della musica di Bach e i meccanismi del delirium tremens nella morte di Edgar Allan Poe. Il tutto realizzato visivamente con l’utilizzo di materiali d’archivio spesso provenienti da brutta televisione anni ’80, attraverso un montaggio sfacciatamente illustrativo (si parla di un gatto, si vede un gatto: la regola numero uno di cosa non fare in un documentario).

Nymphomaniac volume I è un film complesso e fondamentalmente triste che, ben più che épater le bourgeois, approfondisce l’analisi di temi cari al suo regista, come il dolore per la sofferenza altrui che si trasforma nella nostra (Joe si immola accanto al padre morente come Bess ne Le onde del destino) , la morte che rivela la vera natura delle persone (come nel finale di Melancholia, qui con il terribile delirium tremens che colpisce il padre, violentando e snaturando quella che sarebbe la sua accettazione della morte secondo il pensiero di Epicuro) . Nymphomaniac volume I è un “film monstre”, un delirante caleidoscopio degno di un gabinetto da collezioni settecentesco, su cui si può scrivere tutto e il contrario di tutto, in cui Lars von Trier piange sulla sua infelicità, riflette sui canoni della morale dell’Uomo e allo stesso tempo ci mostra la lingua e si cala le brache come un esibizionista dei giardinetti. Il finale è degno di Kill Bill vol. I e sui titoli di coda scorrono le anticipazioni del volume II (e ora con il porno si comincia a fare sul serio, non avete visto ancora niente).


CAST & CREDITS

(Nymphomaniac ); Regia:Lars von Trier ; sceneggiatura:Lars von Trier ; fotografia: Manuel Alberto Claro; montaggio: Molly Malene Stensgaard musica: Rammstein; interpreti: Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Christian Slater, Jamie Bell, Uma Thurman; produzione: Zentropa Productions; origine: Danimarca, Germania, Francia, Belgio, Svezia; durata: 145’;


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