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Onward - Berlino 2020

Pubblicato il 22 febbraio 2020 da Matteo Galli

VOTO:

Onward - Berlino 2020

È una triste vicenda autobiografica quella sta alla base dell’ultima fatica Pixar (con distribuzione Disney), intitolata Onward (sarebbe come a dire Oltre, stretto parente del “Beyond” di Buzz Lightyear). Il film che uscirà in Italia i primi di marzo è stato presentato nella categoria Berlinale Special ed è diretto da Don Scanlon, alla seconda importante prova registica dopo Monster University, ma con numerosissime partecipazioni in prima fila come sceneggiatore, sviluppatore, animatore etc. Don Scanlon e il fratello persero il padre quando il fratello aveva tre anni e Don neanche un anno.

Da questo elementare e ineludibile vuoto biografico è nata una storia molto avvincente, intrisa di nostalgia, di idee e di colpi di scena. In un mondo che coniuga elementi biecamente realistici con inserti a dir poco fantastici ci ritroviamo il giorno in cui il protagonista Ian, un po’ imbranato e malinconico, compie sedici anni e per l’occasione indossa la felpa che era stata di papà. La famiglia è composta da madre, fratello più grande, Barley, che vive solo ed esclusivamente nel mondo della fantasia, anzi del fantasy, anzi degli adventure games e fa un po’ il bullo col fratellino fragile fragile. Il pet di casa è, peraltro, un draghetto affamatissimo. La madre, alla morte del padre, si è riaccoppiata con un poliziotto-centauro, non nel senso che è un amante della moto, no, è proprio un centauro, corpo d’uomo ma zampe di cavallo. La famiglia, del resto, è dotata di orecchie stranissime, a un certo punto si definiscono della stirpe degli elfi.

Al pari di Barley, Ian è cresciuto con l’assenza del padre, di lui gli resta solo un’audiocassetta (anche questo, come ha rivelato il regista, un dettaglio autobiografico), con cui il ragazzino interagisce costruendo improbabili e ancor più tristi frammenti di dialogo (il fratello più grande qualche brandello di ricordo quanto meno ce l’ha). Ma il giorno del sedicesimo compleanno avviene la svolta: la mamma va in soffitta e consegna solennemente al figlio, ai figli, il regalo lasciato a futura memoria dal padre, un regalo preziosissimo e sorprendente: tramite un atto di magia il figlio/i figli avranno modo di trascorrere 24 ore con il padre che, seppur per pochissimo tempo, tornerà a palesarsi in mezzo ai vivi, salvo poi dissolversi come Euridice, al tramontar del sole. La magia, però, riesce solo a metà, e solo grazie alle insospettate arti proprio di Ian e si badi bene non di Barley– sulla carta – assai più versato nelle arti magiche, viste le sue continue frequentazioni. La magia ha tuttavia prodotto solamente mezzo padre: dalla vita in giù.

Per comporre l’altra metà i due, trascinandosi dietro il padre dimezzato (la parte superiore gliel’hanno messa insieme alla bell’e meglio, con tanto di occhialoni che lo fanno assomigliare all’Uomo invisibile), devono compiere una serie mirabolante di avventure creando un team imbattibile: Barley, espertissimo di "adventure", fornisce le istruzioni e la logistica, Ian, dotato di super-poteri magici, quelle istruzioni le esegue. Il tentativo di pervenire a una compiuta ricomposizione del padre, con colpi di scena a catena, ha prodotto prima di ogni altra cosa il risultato di creare dei due fratelli, fin qui lesionati dalla precoce perdita ma per nulla solidali, una comunità d’intenti, una solidarietà e un affetto, paterno e filiale al tempo stesso, in cui a turno si proteggono.

Dietro questo che è da considerarsi il messaggio principale del film, si nascondono, come è uso negli iper-codificati film della Pixar, tanti altri messaggi: la scomparsa della magia nella società contemporanea a svantaggio del funzionalismo, del marketing e del merchandising. Fra le mille scene che si potrebbero citare: stupenda la sequenza in cui una caverna di draghi e mostri si è trasformata in una taverna dove i simulacri residui di quei personaggi “interpretano” travestiti quei draghi e quei mostri, anche se poi uno dei grandi meriti della coppia di fratelli sarà riattivare nei personaggi la loro identità originaria, che smettono così di appagarsi del mero ruolo di interpreti appunto.
Inutile dire che la "laudatio temporis acti", l’elogio di un mondo in cui c’era più magia, da parte di una casa di produzione che ha fatto e fa della tecnologia estrema uno dei suoi marchi di qualità, identità e di vanto, suona un po’ strano, ma va bene così.


CAST & CREDITS

(Onward); Regia:Don Scanlon; sceneggiatura: Don Scanlon, Jason Headley, fotografia:Sharon Callahan, Adam Habib; montaggio:Catherine Apple; voci: Tom Holland (Ian Lightfoot), Chris Pratt (Barley Lightfoot ), Julia-Louis Dreyfus (Laurel Lightfoot), octavia Spencer (the Manticore); produzione:Pixar Animation Studios origine: Usa 2020; durata: 103’


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