Parigi

La vita, la morte, l’amore. Tutto nelle strade della città eletta a immagine stessa del cinema, sublimata dalla settima arte fino a perdere il suo potenziale di realtà per diventare vera e propria fantasmagoria di luci e suoni.
Dopo Ognuno cerca il suo gatto e Peut être, Cédric Klapisch torna a raccontare i microcosmi urbani, gli intrecci amorosi o anche soltanto i contatti umani tra le vie di questo immenso set a cielo aperto, con un tono più serio di quello della sua produzione più recente.
Rispetto al successo del dittico L’appartamento spagnolo – Bambole Russe, fenomeno di costume eppure intuitiva analisi del disorientamento giovanile, dell’attrazione-repulsione per il posto fisso e una vita tranquilla, risolta nella ronde amorosa di Xavier e i suoi roommates europei, la nuova pellicola segna una svolta intimista e allo stesso tempo un quadro romanticamente idealizzato della città e dei suoi abitanti.
Parigi è un film debordante. Trabocca di personaggi, di umori contrastanti, di malinconia e ironia. Con la sua coralità dirompente e le sue dissonanze, mostra chiaramente la vocazione affabulatoria del suo autore, il tratto che più lo distingue dagli altri cineasti francesi suoi coetanei.
Cédric Klapisch può non essere un ‘autore’ nel senso più stretto del termine. Non dà alle sue pellicole la marcata e inconfondibile impronta visiva di un Ozon, con i suoi vuoti e pieni, o quella visionaria e sperimentale di un Assayas. La sua tensione creativa è tutta rivolta all’affresco, senza l’urgenza di esprimere un proprio mondo interiore ma lasciandosi piuttosto pervadere da ciò che lo circonda. Il suo cinema non vive di espressione ma di impressione. Se il cinema francese del secondo novecento è sempre apparso indelebilmente segnato dall’esperienza fortemente autoriale della Nouvelle Vague, la produzione di Klapisch guarda piuttosto ai meccanismi narrativi di Hollywood, con l’occhio sempre ben piantato sulle esigenze e le aspettative del pubblico. La commercialità si fonde però al ritratto impressionista denunciando l’influenza sia del movimento pittorico, magari filtrato dall’esperienza cinematografica di Renoir figlio – per cui le sue pellicole si compongono di tante Partie de campagne in un mutato scenario metropolitano – o del realismo poetico dei Clair e dei Carné. Parigi sembra figlio proprio di quel cinema, di quei racconti corali capaci di mescolare il comico al mélo. Trascende la soggettività esasperata della camera-stylo, guardando all’artigianato di qualità, nel segno di un cinema che sfornò autori senza saperlo.
Klapisch si muove qui nei territori familiari e rassicuranti della sua filmografia – la città, il sogno (in ogni suo film c’è una sequenza onirica), l’introspezione dei personaggi – per raccontare sempre in maniera più che evidente, mai ellittica, una galleria di personaggi “felicemente in crisi”, dal maturo docente universitario còlto da una illusoria quanto tempestosa passione adolescenziale, al giovane malato che impara a vivere da spettatore anziché da protagonista.
All’interno della grande giostra messa in moto dal regista, sono questi i due poli della narrazione, i due sguardi sul mondo del racconto, quello disilluso dello storico Roland Verneuil, interpretato dal grande Fabrice Luchini e quello speranzoso, innocente, puro del Pierre di Romain Duris. L’ex Xavier de L’auberge espagnole, attore-feticcio di Klapisch, si rassegna serenamente al piacere della visione, passando dalla condizione attiva di motore dello spettacolo – alcuni flashback lo mostrano ballerino al Moulin Rouge – a quella, più passiva, di spettatore.
Come accade del resto in Autoreverse, forse il più bel film di Cédric Klapisch, dove la cameraman Marie Gillain penetrava nella quotidianità della banda di rapinatori grazie all’occhio della videocamera, come testimone silenziosa (ni pour ni contre recitava il titolo originale) delle loro azioni criminali.
Tutti i protagonisti di Klapisch sembrano infatti vivere uno statuto doppio di attore e spettatore. Uno spettatore, però, che nell’ottica anti-autoriale di Klapisch gode dei maggiori privilegi: è il suo sguardo demiurgico ad attivare i percorsi dei personaggi, la sua attenzione a dirigere le traiettorie del racconto e a generare gli intrecci.
Parigi sembra così prima di tutto un grande atto d’amore nei confronti del pubblico. Senza il quale, sembra dire il regista, nessun personaggio ha ragione d’esistere, nessuna storia ha bisogno di essere narrata. Sotto i tetti di Parigi (diceva René Clair) ci sono milioni di intrecci possibili. Basta mettersi in finestra e osservare.
(Paris); Regia e sceneggiatura: Cédric Klapisch; fotografia: Christophe Beaucarne; montaggio: Francine Sandberg; musiche: Loïc Dury, Robert ’Chicken’ Burke; interpreti: Romain Duris (Pierre) Fabrice Luchini (Roland Verneuil) Juliette Binoche (Elise) François Cluzet (Philippe Verneuil) Laetitia (Mélanie Laurent); produzione: Canal+, Ce Qui Me Meut Motion Pictures, France 2 Cinéma, Studio Canal, TPS Star; distribuzione: BIM; origine: Francia 2008; durata: 129’; web info: sito del distributore
