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Pelo Malo

Pubblicato il 13 luglio 2015 da Fabiana Sargentini


Pelo Malo

Quando un film è bello è bello. Quando un film è brutto è brutto. Quando un film ha belle immagini, begli attori, trama triste e scene disturbanti ti resta dentro ma non sai come definirlo. A me quel tipo di film lì piace, mi acchiappa, comunque non mi lascia indifferente, anzi marca un segno da qualche parte dentro di me. Per altri è diverso: s’incazzano, si alzano dalla sedia come punti dalla tarantola, vogliono andare via subito, a distrarsi, a pensare ad altro, a fumare. Per giorni ho rimosso Pelo malo (Mariana Rondón, 2014), film venezuelano rimasto in sala brevemente l’autunno scorso dopo il passaggio ufficiale al Toronto Film Festival ed altre prestigiose sedi in giro per il mondo, visto da me tardivamente, a fine giugno, in un’arena romana situata in storico liceo cittadino. Nonostante la visione fosse stata un’esperienza forte pensavo di averla accantonata fumando e ridendo subito dopo. E invece, come le cose potenti che hanno qualcosa da dire, oggi è riapparso Junior con la sua chioma crespa che desidera liscia, con i calzoncini e la cannotterina a costine anni settanta sotto la quale ha il petto tutto costole a vista, di carnagione ambrata. Essere un bambino di nove anni orfano di padre con madre disoccupata a Caracas non è tra i destini migliori del mondo ma Junior è vivo e sveglio come una trottola indefessa, amico di una coetanea cicciottella ma spiritosa con cui gioca a mascherarsi e con la quale progetta di farsi fotografare per l’album della scuola con dei travestimenti che li rappresentino: lei miss Venezuela lui cantante pop dai fluenti capelli a spaghetto. La figura di Marta, la madre, è estrema: dolorosa dolorante addolorata, ama Bebè, il neonato maschio che non conoscerà mai il padre, ma non riesce a toccare fisicamente il figlio di nove anni che ne paga sulla pelle il pesante prezzo. La donna lo porta più volte dal medico, a far controllare il suo stato di salute. Il bambino confessa al dottore: "Mamma dice che ho la coda" esplicitando il tempre materno che il bambino sia omosessuale, per via della sua tricotillomania: il ragazzino si mette in testa mayonese, olio, desidera come regalo della sua vita a un phon allisciante come quello della nonna negroide, unico membro della famiglia che, come lui, tradisce traccia meticcia nel colore scuro della pelle e la testa crespa.

Chi di noi non si è sentito un bambino non capito? Come non uscire dalla sala senza essersi un pochino identificati con questo bambino non amato non abbracciato non compreso? La vita di un altro essere umano vista in un film a volte fa scattare una identificazione più forte di altri...

Andando a casa continuo ad avere negli occhi immagini belle - fondo cielo bamboline attaccate a mollette che interpretano la realtà venezuelana che sta attorno ai bimbi che giocano, i dialoghi fuori campo su morti violenza pistole stonano con la purezza visiva estetica - il gioco del palazzo-casermone usato come campo di battaglia navale alla ricerca di tipologie, es. bambina: "una mora che balla", bambino: "sesto piano, finestra dieci"; bambina: "due bambini che giocano come noi", bambino: "ottavo piano, finestra dodici", dubbio del bambino: "ma tu cosa credi, si divertono di più?" - la scena del ballo tra la nonna e Junior sulle note di "Limon Limonero", unico vero momento completamente spensierato insieme ai titoli di coda dove il ragazzino vestito finalmente come ha desiderato per tutta la durata della pellicola, da cantante pop, e chioma liscia, balla e sorride a profusione facendoci a fatica allentare la presa della mandibola contratta fino ad un risolino allegro seppur fittizio.


(Pelo Malo) Regia e sceneggiatura: Mariana Rondòn; fotografia: Micaela Cajahuaringa; montaggio: Maritè Ugàs; interpreti: Beto Benites (Junior), Nelly Ramos, Maria Emilia Sulbaràn;produzione:Sudaca Films, Imagen Latina, Hanfgarn & Ufer filmproduktion, La Sociedad Post, Artefactos S.F.; origine: Venezuela 2013; durata: 93’.


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