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Un’amicizia a prima vista: Morando Morandini

Pubblicato il 20 ottobre 2015 da Fabiana Sargentini


Un'amicizia a prima vista: Morando Morandini

Morando per undici anni è stato il mio mentore, il mio amico, il mio consigliere, il mio co-sceneggiatore, mio padre, mio fratello, mio marito, il mio amore... Come farò senza di lui? Questo è quello che mi ritrovo a pensare disperatamente dal momento in cui sono venuta a conoscenza della sua morte, sabato diciassette ottobre duemilaquindici alle ventidue circa.
Ci siamo conosciuti nel lontano giugno 2004 nella ridente cittadina di Bellaria Igea Marina. I nostri ruoli erano ufficiali: lui direttore del festival, io regista con documentario in concorso. A parte qualche curioso collegamento sparso negli anni precedenti, quella era la prima volta che ci vedevamo.
Abbiamo - ricordo - mangiato a ora di pranzo in un ristorante chic, di cui non possedevo i buoni pasto ma, senza una parola, se ne occupò lui. È sempre stato un signore. Ero piuttosto intimidita dalla mole simbolica che si portava dietro: per me era come parlare con un gigante tomo dalla nera copertina rigida con su scritto a chiare lettere lampeggianti "Il Morandini - dizionario dei film".
Avevo studiato all’università sui suoi testi, conoscevo la sua grandezza intellettuale e per caso sua sua figlia, legata al padre di un mio carissimo amico di infanzia. Avevo anche bazzicato la sua meravigliosa casa di Levanto ma, in settembre, quando tutti i parenti vi avevano soggiornato per le vacanze e io e Matteo, figlio del padre della nipote di Morando (sono negata a spiegare gli intrecci parentali), felici di goderci gli ultimi fuochi d’estate in quella luce fatata della costa levante ligure. (Da quei giorni probabilmente nasce, nel mio cuore, l’esigenza di raccontare quei luoghi). Avevo sempre sentito il suo nome musicale, Morando Morandini, aveva il potere di mettermi in scacco, in imbarazzo pure nell’assenza, come se avessi percepito che qualcosa ci univa ma non era visibile né immaginario, solo non concreto al momento. Dopo poche frasi, dopo pochi minuti passati allo stesso tavolo si era aperto un canale, un filo luminoso su cui rotolavano le idee, i pensieri, la velocità della comunicazione era speciale. Com’era possibile? Ci separavano quarantacinque anni, vite e mondi differenti, culture e visioni, eppure perché ci sentivamo così vicini? Anni dopo, in un’intervista, Morando definì la nostra, coniando questa ibrida espressione, "un’amicizia a prima vista".
Nei due giorni a Bellaria parlammo poco e ci sorridemmo molto. Il mio documentario Sono incinta vinse il festival. L’indomani prendemmo il treno insieme. Un paio d’ore insieme poi Morando scese a Milano e io proseguii per Roma. Non sapevamo quando ci saremmo rivisti ma era cosa certa, impressa a lettere di fuoco nei nostri spiriti. Qualche giorno dopo mi scrisse la prima di molte altre lettere. Ricordo la sua scrittura vergata a mano con il mio nome, mademoiselle F.S., via del Paradiso 41. Risposi. E lui anche. Subito. Nel frattempo ero fresca d’amore col mio di lì a poco marito, MM mi diceva cose bellissime, di tutto, di cinema, della vita, consigli e dubbi, tutto insieme. Mi invitò subito al festival he si teneva a fine luglio a Levanto in memoria di sua moglie Laura, scomparsa l’anno prima dopo qualcosa come cinquant’anni di matrimonio. Andai con il mio compagno. Con MM riuscivamo a ritagliarci spazi personali in mezzo alla gente, nicchie mentali in cui ci confrontavamo, scambiavamo, capivamo, conoscevamo.
Mi ascoltava, mi faceva percepire la sua stima: non mi ero mai sentita così. Era un padre buono, un Maestro, un mentore che ti dice sempre la cosa giusta. Stare con lui mi metteva fiducia in me stessa, sicurezza, gioia del cuore. E penso che lui si sentisse esattamente allo stesso modo. Stavamo bene assieme e si vedeva, molte foto lo testimoniano. E poi la sua proposta, via posta, di scrivere il mio lungometraggio di esordio insieme per vedere i nostri nomi vicini sullo schermo. Una proposta che sembrava un sogno e che poi è diventata realtà ("Non lo so ancora", partecipazione in concorso al festival del Nuovo Cinema di Pesaro nel giugno 2013). Nel frattempo aspettavo un figlio e lo svolgersi della nostra storia su carta procedeva insieme al pancione e alla vita crescente. Gli anni sono volati tra alti e bassi, ognuno nella sua città, sofferenze, soddisfazioni, delusioni, nostalgie, stupori. Però la vita va e tu te la dimentichi un po’ e lei ti viene a cercare e non sbaglia mai l’indirizzo, manco fosse un solerte postino.

Pensavo non sarebbe successo mai. Lui sarebbe rimasto lì per sempre, come sempre: inamovibile, vecchio, con le borse sotto gli occhi più gonfie che io avessi mai visto, bello di una sua bellezza saggia, anziana. Questo lo penso io che non l’ho mai conosciuto diversamente, mai vissuto di persona quando era giovane, un ragazzo. Faccio fatica a immaginarlo diverso, mio coetaneo quarantenne o coetaneo di mio padre, addirittura ai tempi degli inizi da giornalista ventenne. Morando aveva 79 anni e undici mesi quando l’ho conosciuto; sabato sera, quando è andato via, ne aveva novantuno, due mesi e ventisette giorni. In 4.135 giorni sono passati amicizia, affetto profondo, reciprocità e amore. Come posso ora imparare a stare senza di lui? Conterò i giorni, come una Penelope in attesa di un viaggiatore pazzo che stavolta, davvero, non tornerà mai più. E la tela che ne verrà fuori, lentamente, con pazienza e dedizione, racconterà la storia del nostro incontro. Morando Morandini non ti dimenticherò mai. Sempre con me resterai.

P.S. Realizzo solo ora che Morando è l’unica persona al mondo con cui non ho mai litigato in alcun modo. Qualcosa vorrà dire.


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