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Per uno solo dei miei due occhi

Pubblicato il 27 marzo 2008 da Andrea Esposito


Per uno solo dei miei due occhi

La violenza può diventare quotidiana e articolarsi in piccoli soprusi, vessazioni che sembrano inezie, umiliazioni minime che praticate ogni giorno finiscono per diventare le gocce che nel tempo scavano i massi. Come mostrare l’attualità più puntuale del conflitto israelo-palestinese? Il cineasta israeliano Avi Mograbi racconta la realtà quotidiana di questa guerra che non è una guerra, scegliendo di mostrare la lotta nelle sue pause, la violenza nella sua invisibilità.
In una scena vediamo soldati israeliani impedire ai contadini di arare i loro campi perché ora, senza preavviso, quella è diventata zona militare. Nasce una discussione che verte non su ideali, su etnie o su religioni, ma su permessi e ordinanze, sull’aspetto ‘burocratico’ dello scontro tra occupanti e occupati. La violenza del quotidiano, appunto: altri soldati impediscono ad una classe di bambini di attraversare la recinzione e tornare a casa, senza dare spiegazioni. Così come non lasciano passare una donna ferita. E a fermare la donna non sono soldati in carne ed ossa, ma una camionetta i cui passeggeri nemmeno si mostrano, e la cui voce arriva da un megafono. Direbbero che si tengono a questa distanza per motivi di sicurezza, e potrebbero anche trovare giustificazioni: ma è proprio quest’abitudine all’assurdo che Mograbi getta sul piatto. L’assurdo di cui parla un’ignota voce al telefono, che dice di essere ormai da un mese sotto coprifuoco e di aver perduto il senso del tempo. Perché questa guerra è diventata una ‘cosa’ che occupa tutto il proprio tempo, una cosa a cui non si può fare a meno di pensare e a cui ugualmente non ci si può abituare. Non permette distrazioni, riscrive il tempo giornaliero.
Mograbi non mostra gli orrori della guerra, solo in un paio di momenti nel documentario si sente parlare, quasi di sfuggita, di un attentato. Non c’è sangue, ma viene spietatamente messa a fuoco la sistematica e feroce privazione dello spazio, del tempo e della vita che gli israeliani praticano sulla popolazione palestinese. La voce al telefono procede, e dice che a causa di questa politica gli israeliani dovranno prepararsi a subire altri attentati. E’ una logica accurata, fredda, un’analisi quasi scientifica, la stessa di Mograbi. Il cui messaggio arriva dritto allo spettatore. Perché Mograbi ha una semplice idea: mostrare una contraddizione che esiste ed è pienamente visibile. Sceglie quindi di usare l’arma del montaggio per allestire un parallelo che percorre tutto il film. Da una parte c’è la violenza di cui abbiamo parlato, il muro che ogni giorno resta chiuso davanti ai palestinesi, dall’altra c’è l’educazione della gioventù israeliana. Ragazzi che celebrano il ricordo di Masada, la cui popolazione compì un suicidio di massa per sfuggire ai Romani ormai sul punto di conquistare la città. Bambini che a scuola studiano la figura di Sansone, eroe fondamentale della loro epica, e ne ricordano il sacrificio. Ma Masada e Sansone, tramandati come i totem più fulgidi della resistenza e del martirio, si trasformano ora negli altari sui quali celebrare il culto della vendetta. Non è proprio Sansone, chiede provocatoriamente Mograbi, il primo dei kamikaze, avendo sacrificato la propria vita per eliminare i filistei? Qual è la differenza tra lui, le donne e gli uomini esasperati che oggi sacrificano la propria vita per uccidere gli israeliani?
Mograbi mostra questa cecità paradossale. L’incapacità di vedere cosa accade qui e ora per celebrare una Storia che un filo diretto conduce alla violenza di domani.


CAST & CREDITS

(Nekam achat mishtey eynay) Regia e sceneggiatura: Avi Mograbi; fotografia: Philippe Bellaiche; montaggio: Avi Mograbi; produzione: Avi Mograbi Films; Les Films D’ici; distribuzione: Fandango; origine: Israele – Francia, 2005; durata: 100’


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