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PERCHE’ FACCIO QUESTO FILM

Pubblicato il 16 maggio 2005 da Edoardo Zaccagnini


PERCHE' FACCIO QUESTO FILM

Certi “pezzi” di cinema italiano scorrono incollati da una stessa musica, estirpati dal loro contesto narrativo originale e poi ricomposti per testimoniare l’esistenza del cinema contemporaneo italiano. Il grande malato, eppure così vivo, al punto che una nuova generazione di registi ha deciso di mettersi insieme, di parlare, di provocare, di rivendicare con orgoglio la propria condizione di autore. Tre registi osservano questo scorrere di immagini, aspettando di intervenire, di uscire allo scoperto. Uno di loro è Marco S. Puccioni. Da una sua idea, maturata durante gli incontri con i suoi colleghi avvenuti nei festival, rafforzata dal dibattito sulla legge sul cinema e dalla crisi industriale di tutto il sistema nazionale, è sorto il RING: un movimento di registe e registi nato spontaneamente all’inizio del 2004 dalla comune esigenza di creare un terreno d’incontro e di elaborazione teso alla realizzazione di progetti cinematografici e alla promozione di iniziative sul cinema. Gli altri due registi protagonisti di questo primo incontro, dei sei previsti presso la Casa del cinema, sono Andrea Porporati e Giulio Manfredonia. Il primo a prendere la parola è proprio Marco Puccioni, autore del film Quello che cerchi. È lui a spiegare come il RING sia un gruppo composto da registi appartenenti alla nuova generazione, intesa in senso molto ampio, e come questa iniziativa sia soprattutto un forum, un luogo per incontrarsi e parlare, per maturare una coscienza comune. Puccioni ha sottolineato l’inutilità e la sterilità della dicotomia tra cinema d’autore e cinema industriale. Meglio fare riferimento a “un’istanza narrativa”, mettendo fuori gioco l’idea romantica e desueta di un autore totalmente libero e svincolato dal mercato. Se esiste un sentire artistico, questo deve maturare sovvertendo i luoghi comuni che stanno di fatto uccidendo il cinema. Tra gli interessi e gli obiettivi di RING ci sono anche iniziative concrete, lavori a più mani. Il primo progetto è quello di realizzare, attraverso la documentazione filmata di questi incontri, un documentario, una sorta di libro bianco che possa fare il punto della situazione (non a caso in sala si muovono agilmente tre telecamerine). E davanti a queste videocamere, i tre registi si alternano nel discutere, nel confessare il proprio malessere, accentuato dalla consapevolezza di non possedere una soluzione chiara per risolvere la crisi del cinema italiano. Su una cosa concordano, cioè sulla natura non esclusivamente politica di questa difficile situazione. Anche se, di seguito, è Manfredonia a puntare il dito contro la scelta politico-istituzionale di produrre meno film per realizzarne di migliori. Una decisione che nega la positiva eterogeneità del cinema italiano contemporaneo e che dunque va in direzione opposta a un’eccentrica e stimolante disuguaglianza.


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