Pesaro 2011 - Headshots - Concorso

Una gravidanza è per definizione momento di svolta, di assunzione delle responsabilità legate all’essere entrati nell’età adulta. Ma l’ingresso nel mondo degli adulti è anche perdita dell’innocenza, accettazione della corruttibilità degli ideali e dei sentimenti. Questa ambivalenza trova una rappresentazione ideale nel binomio di nascita e morte, i nodi programmaticamente messi in scena dall’opera del texano Lawrence Tooley, interamente girata a Berlino: Headshots (ritratti).
Marianne, la protagonista, scopre nelle prime inquadrature del film di essere incinta. Di mestiere fa la fotografa in un’agenzia di moda, e sempre nei primi minuti del film si troverà ad assistere al collasso di una modella che non mangiava da giorni, destinata a morire poco dopo in ospedale.
Tra nascita e morte, l’opera di Tooley mette quindi in scena la “linea d’ombra” di Marianne, affidandosi ad un’ambiziosa costruzione temporale in cui saltano in parte i nessi tra prima e dopo e in cui – pur nella parziale progressione della storia – si ritorna costantemente sui momenti cruciali della scoperta della gravidanza e su quella della morte.
Il problema principale è la ricerca dell’autenticità, quella dei sentimenti in primo luogo, che Marianne non avverte né in se né nel mondo circostante. Anche questo dilemma trova il proprio corredo visivo e metaforico nel film: il suo lavoro di fotografa la porta costantemente di fronte ad uno sdoppiamento del reale, quello immaginato e trasposto su pellicola – il simulacro – e quello della vita vera in cui è impossibile far combaciare aspirazioni e realtà.
Nell’esistenza della protagonista ci sono due uomini: quello che la mette incinta e con cui dovrebbe avere la solida e concreta relazione che porti naturalmente a diventare genitori e l’uomo dei sogni, l’ex fidanzato che compare ogni tanto a Berlino e le cui chiamate non si possono mai rifiutare, proiezione di fantasie tardo-adolescenziali più che persona in carne ed ossa.
Ma in fondo entrambi falliscono nell’incarnare l’amore che Marianne si sforza di provare e che non riesce a trovare un proprio oggetto.
Supportato da una bella fotografia di Berlino – la città in perenne (ri)costruzione che perfettamente si presta simboleggiare la ricerca di un’identità – Headshots scivola però a tratti nella didascalia: nella descrizione dei tipi umani stereotipati che angosciano la ricerca di autenticità di Marianne, nei dialoghi sulla storia della Germania che dovrebbero problematizzare e universalizzare lo scontento della protagonista e suonano invece un po’ artefatti. E poi ci sono i monologhi in macchina di Marianne, cioè i suoi messaggi video ad un interlocutore invisibile (e per sempre tale) davanti alla webcam del computer, che echeggiano senza troppa profondità gli intramontabili dilemmi di quell’Holden Caulfield che è stato il precursore di ogni crisi esistenziale.
Assorbita dalla costante apparizione di immagini fantasmatiche, in particolare filmati pubblicitari degli anni Sessanta in cui una modella che supponiamo essere la madre di Marianne reclamizza dei prodotti, la protagonista non riuscirà infine a trovare nessun nesso tra l’idea (a maggior ragione se essa viene da immagini pubblicitarie) e il suo essere nella realtà. Fino alle estreme conseguenze, e senza illusioni sentimentalistiche sul parto come valore in sé, scelta che in parte riscatta la pretenziosità di alcune soluzioni narrative e stilistiche.
(Headshots) Regia: Lawrence Tooley ; sceneggiatura: Lawrence Tooley, Loretta Pflaum ; fotografia: Emre Erkmen ; montaggio: Lawrence Tooley ; musica: Lorenz Dangel ; scenografia: Lawrence Tooley; interpreti: Loretta Pflaum (Marianne), Samuel Finzi (Viktor), Karleinz Hackl (padre di Marianne); produzione: Lawrence Tooley, Loretta Pflaum; origine: Germania, Austria; durata: 92’.
