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Pesaro 2011 - Qu’ils Reposent en Revolte - Concorso

Pubblicato il 22 giugno 2011 da Giovanna Branca


Pesaro 2011 - Qu'ils Reposent en Revolte - Concorso

Se si volesse racchiudere in una frase il senso profondo di Qu’ils Reposent en Revolte di Sylvin George si potrebbe citare ciò che dice un migrante alle telecamere che lo riprendono: “ho attraversato il mare in tempesta ed il deserto del Sahara ed è qui che sto morendo”. Qui è Calais, cittadina della Francia a soli 30 km dall’Inghilterra, luogo di concentrazione per molti migranti mediorientali e nordafricani che cercano di raggiungere la Gran Bretagna.
La tragedia dei migranti respinti, costretti a vivere nascosti e perseguitati dalla polizia è un tema che riguarda l’Italia quanto e più di ogni altro paese europeo, come la cronaca contemporanea può confermare. Italia e anche Francia, coi loro ambigui e criminali accordi sullo smistamento dell’immigrazione “clandestina”. Ma almeno la Francia ha la possibilità di far emergere una cinematografia coraggiosa che intende denunciare le ingiustizie commesse dal proprio paese, mentre in Italia progetti del genere vanno tradizionalmente incontro ad ogni genere di boicottaggio.
Certi film nascono da un’impellenza morale, e di ciò va reso loro ogni merito. Così è per questo documentario che – diviso in due parti – si concentra prima su brevi istanti delle vite condotte dai migranti nella “giungla” (una zona boscosa di Calais in cui hanno costruito un accampamento di fortuna in attesa di tentare la traversata) e poi sul loro sgombro da parte delle forze dell’ordine, con il conseguente smistamento in altre strutture o l’attesa del rimpatrio.
La “narrazione” , specie nella prima parte, è rarefatta; la macchina da presa si concentra su particolari dell’ambiente in cui i migranti vivono: scritte sui muri, il mare, i boschi in cui si nascondono. Quasi ad interrompere l’osservazione, ogni tanto giungono brandelli di racconti, delle storie di queste persone che fuggono dalla guerra (molti di loro sono afghani) dalla povertà e dalle persecuzioni. Riuniti intorno ad un fuoco si deturpano le palme delle mani con chiodi arroventati in modo che le loro impronte digitali non possano venire prese o riconosciute, così da avere una speranza di non essere confinati là dove non vogliono stare. Il loro astio verso un’Europa che li bracca come animali e li respinge verso i paesi da cui fuggono disperatamente è forte, e forti sono le motivazioni del loro risentimento, articolate e motivate. L’assurdità della loro condizione, l’impossibilità di spostarsi liberamente e il dover rischiare la vita per farlo, è percepita con chiarezza da queste persone, alle cui argomentazioni fanno da triste e insensato contrappunto i commenti della stampa e dei politici presenti sul luogo dello sgombro, che parlano invece la lingua dell’opportunismo e del completo scollamento da una realtà che reclama una giustizia che si rifiuta ostinatamente di arrivare.
La denuncia non è però l’unico scopo di questo documentario, che lavora molto sul linguaggio stesso del cinema per ricostruire (o rarefare) i frammenti della triste storia che si compone sullo schermo. Ci sono, detto in altre parole, velleità artistiche che aggirano la denuncia e il reportage in senso stretto per trasporre la vicenda in una dimensione poetica. Lodabile negli intenti, questa scelta cozza però spesso con il contenuto stesso delle immagini, che raccontano una storia di prevaricazioni su cui forse è un po’ avventato arzigogolare vocazioni liriche.
L’impellenza morale fa si che alle volte un linguaggio diretto sia preferibile per veicolare la tragedia di persone destinate – dopo il documentario, dopo la copertura mediatica dello sgombro – a ritornare invisibili.


CAST & CREDITS

(Qu’ils Reposent en Revolte, Des Figures de Guerres I) Regia: Sylvain George ; sceneggiatura: Sylvain George ; fotografia: Sylvain George ; montaggio: Sylvain George ; musica: Archie Shepp ; scenografia: Sylvain George; produzione: Noir Production; origine: Francia ; durata: 154’.


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