Pesaro 43 - PNC - Elvis Pelvis

Qual è il limite che separa la sperimentazione dalla provocazione? Chi stabilisce quali sono i canoni entro i quali un’opera possa definirsi Arte? A conclusione di un festival costruito anche grazie all’apporto della videoarte, della sperimentazione e delle nuove proposte Elvis Pelvis appare un paradigma del complesso rapporto che lega il mondo dell’Arte con quello della sperimentazione.
Che il cinema, in particolare quello proposto nei festival, si stia allontanando dai canoni classici della narratività appare evidente. Che le sperimentazioni, formali e sostanziali, portino sugli schermi delle principali manifestazioni progetti sempre meno legati ad una dieghesis, ad un racconto sembra un dato consolidato. Che però si assista spesso a mere provocazioni, rese significanti solo dall’analisi addotta dalla critica è però cosa altrettanto certa. Sarebbe probabilmente divertente e gustoso soffermarsi ad analizzare la pellicola di Kevin Aduaka nel tentativo di trovare al suo interno significati o chiavi di lettura. La forma sconnessa, frammentaria, allucinogena, potrebbe divenire, con poca (o molta) fantasia, un segno del degrado descritto dal regista, una materializzazione del racconto narrato. Una società fatta di famiglie sgretolate, di rapporti umani corrotti, sgranata come la pellicola che rinuncia alla sua lucidità e morbidezza. Corrosa fino a perdere la luminosità del colore, sporca di sangue ed eroina, quasi fosse il supporto stesso ad essere intriso di queste sostanze. Così il fish eye, tremendamente abusato, trasfigurerebbe questa orrida realtà attraverso gli occhi di uno spettatore protagonista, inerme compagno delle tristi vicende. Un occhio che si allarga ben oltre la possibile visuale umana, deformando e sublimando tutto ciò che gli si para davanti. Un occhio solo contro una realtà che si moltiplica, grazie allo split screen, in una progenie infernale. Un inferno freddo e tetro come i blu e i grigi che lo animano, dagl’ambienti sbilenchi e sformati che modificano a propria somiglianza l’intera realtà. Non resta forse che aggrapparsi ai sogni, alle danze fra padri e figli felici sulle note di Elvis Presley, bloccare fra le bande nere un attimo di infantile spensieratezza. Non resta che questo impotente palliativo. Quand’anche il sogno si fa di coltelli, sangue, violenza e morte ecco che il nero, è l’ultima, unica conclusione. Fade to black.
Sarebbe probabilmente divertente trovare significante ciò che appare nella sala buia. Sarebbe divertente e tristemente sterile.
Giampiero Francesca
(Elvis Pelvis); Regia e sceneggiatura: Kevin Aduaka; fotografia: David Raedeker; montaggio: Emiliano Battista musica: Shohei Kawamoto; interpreti: Kadeem Pearse, Tony Cealy, Laura Crowe, Mark Oliver, Geoffrey Burton; produzione: Love Streams agnès b. Productions, d2e Pictures Production durata: 95’ origine: Gran Bretagna, Francia 2007
