Pesaro 46 - Symbol - Bande à Part
Hitoshi Matsumoto è noto in Giappone soprattutto come comico e Symbol è il suo secondo lungometraggio. Opera quanto mai enigmatica, racconta di un uomo che si sveglia chiuso in una grande stanza completamente bianca, senza porte né finestre. Come avveniva in Cube, il luogo misterioso ha tutto l’aspetto di essere disseminato di trappole insidiosissime ma qui, lontano da ogni tentazione in stile horror, tutto resta sul piano della commedia. La stanza bianca e tutti gli eventi assurdi e surreali che accadranno all’interno di essa si fanno infatti pretesto per mettere in scena le gag più comiche e divertenti. Il povero protagonista sembra ingaggiare una lotta all’ultimo sangue con le presenze misteriose e beffarde che animano il luogo e con tutti gli strambi oggetti che man mano si materializzeranno davanti a lui. La sua speranza ovviamente è quella di trovare una via fuga. Ma ciò che lo attende fuori, se esiste ancora un “fuori”, potrebbe essere ancor più stupefacente e pazzesco.
Parallelamente alla storia sibillina e astrusa di quest’uomo inspiegabilmente rinchiuso nella stanza, il regista però ne mette in scena anche un’altra, che si svolge – a quanto sembra – in Sudamerica, dove un wrestler taciturno e sempre mascherato si prepara ad un incontro di lotta. In principio nulla viene svelato allo spettatore su come due situazioni e due mondi così lontani possano entrare in relazione l’uno con l’altro. Solo gradualmente l’imperscrutabile, originalissimo film di Matsumoto svela il suo segreto disegno, trasfigurando in una riflessione stravagante sulle connessioni invisibili tra gli eventi del mondo, sulla casualità e sulla causalità della vita, sulle distanze spazio-temporali che nella dimensione astratta in cui agisce il protagonista sembrano annullarsi.
L’ironia che domina il film coinvolge e funziona, corroborata dalla presenza dello stesso Matsumoto nei panni del protagonista, ma ciò che colpisce positivamente e stupisce è soprattutto la scelta radicale di trascinare lo spettatore in un mondo fantasioso ed ermetico, indecifrabile e inconcepibile tanto per chi guarda dall’esterno quanto per l’uomo che si risveglia nella stanza. Si sente lontanamente il sapore, in Symbol, di quei film tesi tra commedia e riflessione esistenziale/filosofica come I heart Huckabees o come il più riuscito Essere John Malkovich, ma la potenza visiva e l’inventiva di certe sequenze del giapponese Matsumoto restano esempi di un cinema così insolito e personale rispetto al quale è difficile, se non impossibile, cercare dei termini di paragone adeguati.
(Shinboru) Regia: Hitoshi Matsumoto; sceneggiatura: Hitoshi Matsumoto, Mitsuyoshi Takasu; fotografia: Tohyama Yasuyuki; montaggio: Honda Yoshitaka; musica: ShimizuYasuyuki; interpreti: Hitoshi Matsumoto, David Quintero, Luis Accinelli, Lillian Tapia; produttore: Okamoto Akihiko, Takemoto Natsue, Konishi Keisuke; origine: Okamoto Akihiko, Takemoto Natsue, Konishi Keisuke; durata: 92’.