Piano 17

Una scommessa vinta quella dei fratelli Manetti che con Piano 17, dopo aver conseguito il premio del pubblico al Courmayeur Noir in Festival, vedono il loro film uscire nelle sale sale italiane.
Facendosi scudo di una sceneggiatura ben scritta, se si eccettuano certe cadute di tono, anche prevedibili, in qualche dialogo troppo forzato, il film scorre in modo assai piacevole riuscendo a non sfigurare all’interno di un genere, quello noir, che necessita di una costruzione formale piuttosto rigida per non esaurirsi in un nulla di fatto.
Storia ben strutturata, dunque, per questa pellicola, girata con appena 63.000 euro, ma che dimostra come le idee e l’entusiasmo possano in qualche modo sopperire alla mancanza di finanziamenti.
Il film, infatti, è ben lontano dalla magnificenza economica di alcuni prodotti cinematografici, riuscendo, però, a raggiungere un grado di coinvolgimento ben più che apprezzabile, utilizzando uno stile narrativo privo di ridondanze, piuttosto secco ed incisivo, concentrato del tutto sull’assunzione di forme espressive consone a restituire immediatamente una tensione che è costretta a procedere priva di tentennamenti e di pause verso il suo progressivo innalzamento.
Luci gelide ed atmosfere claustrofobiche sono, senza dubbio, le principali chiavi di volta di un intreccio che conduce il film, girato in digitale e poi riversato su pellicola, verso uno sviluppo basato quasi interamente sull’uso di flashback atti a spezzare la continuità spaziale e temporale rappresentata dall’ascensore, vero fulcro logistico dell’azione.
I personaggi sono ben delineati, supportati da una caratterizzazione che inizia da subito grazie a vari elementi che i registi disseminano sapientemente sin dalla prima sequenza. Elisabetta Rocchetti, Giampaolo Morelli ed Enrico Silvestrin (per citarne solo alcuni) interpretano in modo efficace il proprio ruolo, riuscendo a creare quel reticolo di relazione e dialogo, fondato sul continuo alternarsi tra momenti di scontro e attimi di collaborazione, su cui la vicenda si basa proprio per arrivare al suo fisiologico epilogo.
La presenza di Massimo Ghini, poi, dà peso e forza ad un cast assemblato in modo lineare rispetto all’intreccio messo in scena. Ed è proprio lo stesso attore a sollevare un monito importante riguardo il progetto e la sua genesi affermando che “E’ importante la ricerca di formule produttive diverse anche se questa non deve diventare la regola. Hanno tagliato i tubi dell’acqua e del gas al cinema italiano, che non dobbiamo dimenticare è un’arte costosa e va sostenuta”. Il rischio, infatti, è che ci si spinga sempre più verso soluzioni del genere che, pur essendo assolutamente meritorie ed importanti per la crescita di nuovi registi ed il proliferare di nuove idee, alla fine facciano dimenticare la grave crisi che il cinema italiano vive in materia di finanziamenti.
(Piano 17) Regia: Antonio Manetti, Marco Manetti; soggetto e sceneggiatura: Antonio Manetti, Marco Manetti, Giampaolo Morelli, Anatole Pierre Fuskas; fotografia: Fabio Amadei; montaggio: Federico Maria Maneschi; musica: Pivio, Aldo De Scalzi; scenografia: Chiara Salviucci; costumi: Cinzia Luchetti; interpreti: Giampaolo Morelli (Mancini), Elisabetta Rocchetti (Violetta), Enrico Silvestrin (Pittana), Antonino Iuorio (Borgia), Massimo Ghini (Matteo Mancini); produzione: Manetti Bros., Morelli, Silvestrin, Soleri, Moviemax, Gamp Produzioni; distribuzione: Moviemax; origine: Italia; durata: 105; web info: www.piano17.com.
