Pietà

Gang-Do riscuote soldi per conto di un usuraio. È freddo, violento, spietato. Mutila gli insolventi con crudeltà e sadismo senza far trasparire alcun tipo di emozione dal suo volto immobile e inespressivo.
Un giorno si presenta a casa sua una donna che dice di essere sua madre ed inizia a pedinarlo ovunque. Gang-Do dopo alcune esitazioni inizia a vacillare e tutta la sua esistenza basata su mercificazione, soldi e dolore inizia a sgretolarsi sotto le sue mani.
Il diciottesimo film di Kim Ki-duk è pura poesia. Ogni immagine possiede una propria potenza visiva e narrativa al tempo stesso fuori dal comune. Un film a metà strada tra la sua tradizione, con rimandi espliciti a La samaritana e L’arco, e temi cari a Park Chan-wook, come la violenza e la redenzione. La fotografia sporca, gli zoom digitali, le inquadrature strette e quasi soffocanti che sfociano in sequenze essenziali e ricche di simbolismi rendono il tutto un’opera multi strato che non può lasciare indifferente. Ki-duk riesce a rendere tangibile allo spettatore la sofferenza del proprio personaggio senza forzare un qualsiasi stato d’animo nei suoi confronti. Non si prova pena, nè compassione, ma allo stesso tempo non si prova odio o disgusto verso di lui. Si resta spettatori affascinati e ci si interroga costantemente sul significato di ogni punto macchina scelto dal regista.
La donna che entra a far parte della vita di Gang-do gli fa conoscere amore e comprensione, due parole che prima di quel momento non avevano avuto alcun significato per lui e lo portano quasi ad uno stato di regressione; di ritorno ad un’infanzia che in realtà non ha mai avuto.
Intorno ai due protagonisti, ruota un universo fatto di gente disperata che è costretta a vendere la propria dignità per avere in cambio soldi e la possibilità di sopravvivere. Kim Ki-duk li inquadra e li mostra con piglio documentaristico e carico di dignità emotiva ed intellettuale, in cerca del significato profondo di quel sentimento che dona il titolo al film, pietà. Una riflessione che travalica lo schermo e arriva dritta a noi spettatori vittime di un sistema che ci porta a vivere e a comportarci in maniera mercificante e mercificata, facendoci perdere di vista il vero significato della nostra esistenza.
Pieta è un nodo alla gola che ti prende sin dall’inizio, ti assale in crescendo e non ti abbandona nenache dopo la fine della proiezione. In un finale ricco di emozioni visive, un’immagine più di tutte resta impressa nella mente dello spettatore mentre lenta si alza la preghiera del Kyrie eleison. Un signore pietà recitato alla fine di un estremo atto penitenziale che riecheggia nella sala e abbraccia le immagini della città che si staglia sullo schermo e per estensione chiunque sia seduto difronte a questo capolavoro. Kyrie eleison Kim Ki-duk.
(id.); Regia, sceneggiatura e montaggio: Kim-Ki Duk; fotografia: Jo Yeong-jik; musiche: Park In-young; interpreti: Lee Jung-Jin, Jo Min-Su ; produzione: Kim Soon-mo, Kim Ki-duk, Kim Woo-Taek; origine: Sud Corea 2012; durata: 104’.
