Polisse

La prima sensazione è quella di trovarsi dentro una delle tante serie televisive dedicate al mondo poliziesco. Per fare un esempio nostrano, un mix tra La squadra e Distretto di Polizia. Ci si rende però conto, abbastanza in fretta, che i tanti incroci e le numerose trame che prendono il via dalla traccia principale non portano altro che una profonda confusione, tale da rendere il risultato finale del tutto sconclusionato.
L’intento è quello di raccontare il lavoro della squadra protezione infanzia di Parigi. Lo spunto nasce dal profondo studio fatto dalla regista, Maïwenn, in collaborazione con gli ufficiali di polizia, su numerosi casi di abuso sui minori e pedofilia. E se, almeno nel prologo, il film sembra seguire abbastanza fedelmente questa direttrice, mostrando interrogatori, indagini e testimonianze, e approfondendo il forte cameratismo vigente tra i vari componenti della squadra, quando lo sguardo della regista si allarga sulla vita dei protagonisti, inevitabilmente condizionata dalla pesantezza del lavoro svolto, Polisse perde immediatamente consistenza smarrendosi in una serie di divagazioni cui si tiene testa a fatica. Il tutto condito da un approccio fortemente televisivo che annulla qualsiasi coinvolgimento e manca di incisività.
Il lavoro fatto in fase di scrittura con Emmanuelle Bercot tende a caricare emotivamente ogni singolo personaggio allontanandosi però dal rapporto, in un film del genere assolutamente decisivo, con la realtà. Improvvisamente quindi prendono il sopravvento le vicende personali dei tanti protagonisti che, al contrario di quanto ci si aspetterebbe, raramente vengono approfondite.
Capire tutte le evoluzioni diviene operazione non semplice (ad esempio il ruolo del nostro Scamarcio non si capisce bene a cosa serva) considerando anche che, improvvisamente, tornano a fare capolinea sullo schermo storie di abusi, stupri e abbandoni senza che si sviluppino conclusioni o conseguenze. In alcuni passaggi si arriva quasi al paradossale. Di poliziesco, in definitiva, non si può parlare, drammatico il film lo è solo in parte, di storie d’amore ne abbiamo contato almeno quattro ma non sapremmo dire come vanno a finire. Si capisce quindi che definire Polisse resta alquanto complicato. Il peccato originale è non scegliere da subito un registro, che coinvolga tanto lo stile che la narrazione, cui affidarsi. Si poteva puntare ad uno sguardo di natura più documentarista così come virare verso un racconto meno articolato e più dettagliato.
L’ibrido che ne viene fuori resta lontano dal convincere. Il finale, poi, che sfrutta poco originalmente un montaggio alternato, contribuisce ad accrescere i già tanti punti di domanda.
(Poliss) Regia: Maïwenn; sceneggiatura: Maïwenn, Emmanuelle Bercot; fotografia: Pierre Aïm; montaggio: Laure Gardette, Yann Dedet; interpreti: Karin Viard (Nadine), Joeystarr (Fred), Marina Foïs (Iris), Nicolas Duvauchelle (Mathieu); produzione: Les Productions du Trésor; distribuzione: Wild Bunch; origine: Francia; durata: 127’.
