Primo amore
Loro due, Sonia e Vittorio, non si vedono più. Sono fuori fuoco, i loro corpi scompaiono. Nella seconda metà del film i due protagonisti si recano in gita al lago, sono su una barca, lei è silenziosa, lui continua a parlare, ma non vediamo più i loro corpi a fuoco, solo lo sfondo ha conservato dei contorni nitidi. Una metafora visiva concreta e perfetta del tentativo della coppia di sbarazzarsi della propria fisicità, quel perdere peso da Sonia accettato per amore masochistico nei confronti del proprio compagno. Questa volta Matteo Garrone si concentra su due persone: una donna che rinuncia al suo spessore per il suo uomo, e un uomo incapace di andare oltre le proporzioni del corpo. Gli ampi e distorti scenari attraversati dai protagonisti dell’Imbalsamatore, si stringono, subiscono una riduzione, si raccolgono attorno a due corpi prigionieri, l’inquadratura si fa stretta, i dettagli prendono il sopravvento dando fisicità all’immagine. È un paradosso, dove il contenuto del film racconta dell’ossessione di un corpo che si vuole cancellare, la forma acquista in sostanza fisica, alla ricerca tattile di un mistero oltre il visibile. Eppure, nonostante le differenze stilistiche di questo nuovo film, dovute alla materia trattata, Garrone continua a rimanere nelle terre di mezzo, quelle zone di confine rimosse, toccate velocemente dalla notorietà della cronaca per terminare poi nel dimenticatoio, altrimenti scorte da noi - uomini tardo moderni - solo di passaggio. Adottiamo facilmente nella vita quotidiana uno sguardo leggero, privo di peso, scorrevole, tanto da ritenere sulla retina solo il necessario che ci permette di individuare pericoli ed ostacoli. Il resto, quello che sta nel “mezzo”, rimane fuori. Ecco invece l’occhio del regista di Primo amore soffermarsi su ciò che sfugge alla nostra vista. Le nostre sviste tornano con lui al centro della schermo e non è poco. Perché la storia di Sonia e Vittorio ci riguarda molto di più di quello che potremmo pensare. Ad un certo punto lo psichiatra che ha in cura Vittorio (interpretato dallo scrittore Giulio Mozzi) gli dice: “Lei sta modellando una persona secondo il suo desiderio”. Una frase che pesa quanto una pietra e per una ragione: riflette in modo estremo le nostre solitudini, il lento consumarsi della nostre relazioni d’amore, la nostra incapacità di stare insieme.
regia: Matteo Garrone sceneggiatura: Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Vitaliano Trevisan fotografia: Marco Onorato montaggio: Marco Spoletini musica: Banda Osiris interpreti: Vitaliano Trevisan, Michela Cescon produzione: Fandango origine: Italia durata: 100’ distribuzione: Fandango