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Proprietà privata

Pubblicato il 17 marzo 2007 da Giampiero Francesca


Proprietà privata

Un tavolino di cristallo, in pezzi. Un uomo e una donna, chini sul pavimento ne raccolgono i cocci. Luc e Pascale, frammento per frammento, cercano di recuperare i resti di una relazione, di una famiglia, di una vita.

Il lento e compassato racconto del belga Lafosse condensa tutto il suo significato in una singola inquadratura. Le difficoltà di una coppia di divorziati, il complesso rapporto con i figli, i silenzi, le menzogne, le ipocrisie divengono cellule di un cancro che distrugge anche i legami più solidi. Il logorio continuo di quest’odio latente mette madri contro i propri figli, fratelli contro fratelli, amanti contro amanti. Non c’è sentimento che resista alla forza distruttrice del rancore e delle incomprensioni.

La triste parabola di questa realtà, ormai prossima al suo atto conclusivo, è vista da Lafosse con gli occhi freddi di chi, a questa quotidianità, è abituato. E’ questa la chiave, al tempo stesso inquietante e realistica, con cui il regista avvicina un tema quanto mai attuale; la famiglia. Luc e Pascale divengono paradigma di una realtà sfibrata, in cui anche il più piccolo contrasto porta con se i germi di una possibile tragedia. Finanche i due gemelli, Thierry e François, apparentemente simbiotici, i cui sguardi complici rivelano un profondo legame, vengono distrutti dal lento collassare della propria famiglia.

Nel solco della tradizione cinematografica belga, che rievoca ritmi e sensazioni dei fratelli Dardenne, Lafosse costruisce una pellicola asciutta attenta ad osservare la tristezza umana con occhi sempre distaccati. Le inquadrature rigorosamente immobili, centrate sull’oggetto narrato, rigide, foriere di un’ipocrita oggettività, rimandano ad un’idea di documentarismo latente, totalmente anempatico con lo spirito della narrazione. E’ qui probabilmente che un film, per tema e stile potenzialmente molto intrigante, mostra tutti i suoi difetti. Il tentativo di mantenere una sostanziale freddezza rispetto all’azione, reso attraverso la fissità del punto di vista, congela lo spettatore in uno stato di perenne e insoddisfatta attesa. Nonostante poi lo straordinario stato di grazia di tutti gli interpreti, il brusco scarto di drammaticità, probabilmente dovuto alla necessità di chiudere la parabola della famiglia in modo ancor più esemplare, rende poco credibile l’intero impianto filmico. Nel giro di pochi istanti gli sguardi complici e i sorrisi si tramutano in scazzottate e litigi. Quel che resta della bella famigliola di campagna sono i cocci in terra di un tavolino.


CAST & CREDITS

(Nue propriété) Regia: Joachim Lafosse; sceneggiatura: Joachim Lafosse, François Pirot; fotografia: Hichame Alaouie; montaggio: Sophie Vercruysse; scenografia: Anna Falguère; costumi: Nathalie du Roscoat; interpreti: Isabelle Huppert (Pascale), Jérémie Renier (Thierry), Yannick Renier (François), Patrick Descamps (Luc); origine: Belgio, Francia 3006; durata: 105’


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