Quando c’era Berlinguer

Quel "quando" che apre il titolo indica un tempo, e quel tempo è l’altro grande tema del documentario di Veltroni su Enrico Berlinguer. Un tempo denso e complesso: delicatissimi anni di Storia politica italiana (e non solo italiana). Dal 1972 al 1984, dall’elezione di Berlinguer alla segreteria del PCI ai funerali in Piazza San Giovanni del magro ed instancabile politico, davanti ad un milione di persone. Il tempo di una stagione potente e instabile, che passa per i Referendum sul divorzio e sull’aborto, per il "compromesso storico", per l’omicidio Moro e per la marcia dei quarantamila a Torino. E’ un tempo fondamentale per il nostro Paese, tesa convivenza di sogni e di incubi, stordente alternanza tra estate e inverno che per il neo regista Walter deve essere a portata di memoria almeno quanto la figura del suo amato "Segretario". Veltroni esplicita immediatamente un’urgente necessità di ricordare, interrogando tanti giovani d’oggi all’inizio del film, già consapevole delle loro “sconvolgenti” risposte, e delegando poi alla voce dolce e posata di Marcello Mastroianni il compito di ribadire l’importanza della memoria. “Tutto quello che hai visto ricordalo - dice l’attore - perché tutto quello che dimentichi ritorna a volare nel vento”. Mastroianni è una pennellata veltroniana al pari di Pasolini e Lorenzo Cherubini: un prima e un dopo Enrico, entrambi amati dai giovani del 2014, entrambi bellezza (ognuno a modo suo) capace di condurre al traguardo il desiderio dell’autore: portare dovunque il ritratto di un leader e di una politica come ci piacerebbe che fossero, se ancora lo speriamo, e come incredibilmente sono stati: sani, dal volto umano, onesti, persino poetici. Esempi di cui ci si è addirittura potuti innamorare. Storia una volta, utopia oggi. Veltroni va in cerca (anche) di quei ragazzi che prima del film credevano che Berlinguer fosse "un mafioso", o "uno molto di destra", oppure "un commissario", se non "un francese" o "un coreano", e che alla fine non credono ai loro occhi quando incontrano un tempo in cui la gente piangeva perché un politico era morto. E lo facevano senza sapere che quella morte avrebbe segnato la fine di un’epoca, la fine di un modo di intendere la politica e la società. Il Berlinguer di Veltroni è dunque Storia d’Italia, di un passato recente che dopo questo film sembra ancora più lontano. Il suo Enrico è tutto politico, tutto pubblico, non uno sconosciuto Berlinguer privato, ma quello sul palco o in televisione, che risponde e spiega il suo modo di vedere innovativo e sorprendente, spiazzante perfino per i suoi elettori. Troppo comunista per gli americani, troppo americano per i russi, amato tanto dal suo popolo, stimato anche da avversari politici (non da tutti) ma anche solo in certi momenti. E’ sobrio e bellissimo l’Enrico del film, può darsi anche un pizzico di più di quanto lo sia stato nella realtà, e lo è stato tanto. Ma il cinema è il cinema, anche in un documentario storico e politico, e Veltroni lo ama profondamente (e ne adopera diversi frammenti per far "parlare" il suo documentario). Per di più non ha mai fatto mistero di voler raccontare Berlinguer come lui lo ha sempre vissuto, con amore e ammirazione. Ma nello stesso tempo, seppur il film denunci la sua forma di "opera personale" (lo stesso Veltroni compare attraverso vecchi Super 8 amatoriali) è capace di ricostruire la complessità dell’uomo politico e del tempo che ha abitato, l’incontro violento e anche doloroso dei suoi capelli al vento e del suo viso con la Storia, le contraddizioni di quegli anni e le amare sconfitte immediatamente successive alle vittorie. Quello diretto da Berlinguer fu il PCI in allontanamento esplicito dall’Unione Sovietica, il partito dei lavoratori italiani balzato in poco tempo al 34% per cento, e che proprio là, ad un passo dalla presa di un potere "impossibile", vide nascere un governo monocolore democristiano e l’intero Paese prendere una direzione inaspettata, dolorosa e triste, non solo per la sinistra italiana. Veltroni racconta - con la stessa passione con cui descrive il suo protagonista - il vento di quegli anni, "meravigliosi" i tre dal ’74 al ’76 (parole sue), una "lunga estate" di sogno e possibilità in cui un italiano su tre votava PCI. Quell’Italia sembrava alla vigilia di un grande cambiamento e invece vide aprirsi le porte di un lungo inverno portatore di regressione e violenza. Il regista monta le inevitabili e corpose testimonianze umane con molto repertorio, parte del quale inedito e scovato non solo negli archivi più classici (Rai, Luce, e Movimento operaio e democratico) ma anche in giro per vecchie sezioni, qualche volta in formati del tempo mai riversati in digitale. Prima delle lacrime finali di quegli italiani alle transenne sotto il sole di un Giugno romano, ecco il lungo finale dell’ultimo comizio del leader rosso a Padova, quello in cui un ictus lo colpì ma non gli impedì di completare il suo discorso. Veltroni lo lascia tutto, fa scorrere le immagini perché lì dentro c’è tutta la forza, la bellezza e la passione del suo Enrico. Basterebbero quei lunghi istanti sul grande schermo per consigliare a tutti la visione di Quando c’era Berlinguer. Ma per fortuna c’è anche altro, c’è di più.
Regia: Walter Veltroni; Fotografia: Davide Manca; Montaggio: Gabriel Gallo; Musiche: Danilo Rea; Interviste: Giorgio Napolitano, Bianca Berlinguer, Monsignor Luigi Bettazzi, Lorenzo Cherubini, Silvio Finesso, Arnaldo Forlani, Alberto Franceschini, Richard Gardner, Mikhail Gorbaciov, Pietro Ingrao, Emanuele Macaluso, Alberto Menichelli, Eugenio Scalfari, Sergio Segre, Claudio Signorile, Aldo Tortorella; Produzione: SKY REALIZZATA DA CARLO DEGLI ESPOSTI PER PALOMAR; Distribuzione: BIM
