Quanto basta
Il tema della sindrome di Asperger entra nell’italiano Quanto basta, del regista Francesco Falaschi, che già col suo primo film, Emma sono io, del lontano 2002, aveva parlato di disagio mentale: lì una ragazza, ottimamente interpretata da Cecilia Dazzi, era affetta da sindrome bibolare. Come stavolta la strada era quella della commedia garbata, visto che anche Quanto basta entra con leggerezza nel tema trattato e dunque si allarga un solco utile, costruttivo e civile, visto che oltre allo Sheldon Cooper di Big bang Theory, e oltre al film Adam del 2009, anche una serie recente, l’italiana Tutto può succedere - a sua volta remake dell’americana Parenthood - aveva parlato di un adolescente che viveva con la sindrome di Asperger. Al pari di tutti questi prodotti, ognuno coi suoi limiti e i suoi punti di forza, ognuno coi suoi frammenti interessanti, anche il film di Francesco Falaschi si fa strumento che dirada gli equivoci e facilità la conoscenza di questo disturbo. Quanto basta è la storia di Guido (il bravissimo Luigi Fedele, già ammirato in Piuma di Roan Johnson), un ragazzo Asperger portatissimo per l’alta cucina. Ha il palato assoluto, è un fine creativo, adora esprimersi ai fornelli, e per ciò decide di partecipare ad un concorso culinario. Chiederà ad Arturo (Vinicio Marchioni), un ex chef stellato caduto in disgrazia per qualche errore commesso nella vita - e per ciò affidato ai servizi sociali - di fargli da tutor in uno di quei talent come se ne vedono in tv, con tanto di eliminazioni e di giuria presieduta da personaggi mediatici. Attraverso la mediazione di una psicologa (Valeria Solarino) nascerà un percorso di conoscenza reciproco che si svilupperà attraverso un morbido on the road centro italico, a bordo di una vecchia Lancia. Tra speranze e delusioni, in un crescendo di vicinanza e di umanità, Arturo ritroverà se stesso e diventerà gli occhi di noi tutti sulla fertile diversità di Guido, sulle sue esigenze, sulla sua delicatezza, sulle sue ferree abitudini, sulle sue chiusure, sulla sua fragilità ma anche sulle sue qualità e sulle sue serrature per nulla impossibili da aprire, se chi è di fronte a lui sa costruirsi le chiavi giuste. In Quanto basta si sorride e mancano momenti fortemente o veramente drammatici. Non ci sono cambi di registro decisi che producono vero e proprio mare mosso emotivo. Prezioso, tuttavia, è che emerga la persona oltre la sua condizione, oltre i suoi movimenti poco armonici, oltre la sua pelle sottilissima che lascia intravedere un vorticoso movimento interiore. e questo nonostante la sceneggiatura non conquisti e non possa dirsi un vero gioiello: il viaggio dei due quasi amici non è originalissimo e non nascono dialoghi eccezionali; non arrivano particolari svolte inaspettate: non basta che il presidente della giuria sia il cattivo che portò il povero Arturo alla caduta, e quando in scena entra la garanzia Alessandro Haber, sembra potersi scaldare la pellicola, ma lo spazio che il suo personaggio di vecchio e saggio maestro di cucina riesce a ritagliarsi non è sufficientemente ampio per ossigenare e rivitalizzare in pieno il film. Cinematograficamente rimaniamo sui binari rettilinei di un vagamente godibile, di un correttamente didattico, ma è positivo che la narrazione per immagini, colei che domina il nostro tempo, riesca a entrare dignitosamente, rispettosamente e intelligentemente, in questo terreno poco battuto e scivoloso, facendolo con un linguaggio popolare, e leggero, ma al contempo votato al realismo. Sorridere è possibile dove esiste una relazione avviata, e perciò Quanto basta e le serie recenti che parlano Asperger (vedi anche Community, in cui un personaggio, senza esplicitarlo, mostra i sintomi della sindrome di Asperger) segnano un passo in avanti verso l’accoglienza e la comprensione di questo tipo di disagio mentale, che non è - è bene precisarlo e ricordarlo - una malattia. Certi racconti contribuiscono a diminuire il rischio che si finisca per somigliare al padre di Guido, il protagonista di Quanto basta, visto che in un dialogo con Arturo, il ragazzo racconta di suo padre che se ne andò quando lui era piccolo: «Ma lo sapeva che eri Asperger?», chiede Arturo a Guido, «No, lui pensava che fossi scemo», risponde seccamente e tristemente il ragazzo appassionato di cucina.
Regia: Francesco Falaschi; Sceneggiatura: Filippo Bologna, Ugo Chiti, Francesco Falaschi, Federico Sperindei: Montaggio: Patrizio Marone; Fotografia: Stefano Falivene; Produzione: GUGLIELMO MARCHETTI, DANIELE MAZZOCCA, FABIANO GULLANE, CAIO GULLANE, PABLO TORRECILLAS, RODRIGO CASTELLAR PER NOTORIOUS PICTURES, Verdeoro: Distribuzione: Notorius Pictures; 2018