Quella casa nel bosco

Più che un film horror Quella casa nel bosco di Drew Goddard è un film sull’ horror, riflessione medi(t)ata e assolutamente divertente e divertita, in cui si riconosce l’estro di Joss Whedon, qui in veste di sceneggiatore, per un’opera che, sovvertendo la supremazia dello shock visivo sul testo caratteristica del genere, si presenta innanzitutto come un film di scrittura, in cui l’orrore – se ancora può definirsi tale – passa attraverso una rigida strutturazione, una combinazione tra variabili sempre e comunque predeterminabili.
E allora, interrogandosi evidentemente sulla possibilità di credere ancora agli elementi cardine del genere, e in particolare a quelli del New horror anni ’70 – la casa isolata, il gruppo di adolescenti, i mostri redneck, la final girl – Whedon si immagina un’organizzazione che come un Grande Fratello orchestri questi incubi catartici per la sopravvivenza stessa del genere umano, indicando nell’horror il principale erede della tragedia greca.
Il film vive così di due livelli, una struttura doppia per cui da un lato si gioca con le convenzioni dell’horror (come lo stesso titolo, evocativo archetipo di ogni racconto del terrore) e dall’altro dà corpo a una sorta di parodica science-fiction che assembla gag su gag – alcune irresistibili, come la satira dell’horror orientale e dei suoi fantasmi new age – facendo assumere al ricercatore di Richard Jenkins e ai suoi sodali il ruolo dello spettatore vigile ed edotto in materia, coscienza critica del genere come il Randy creato da Williamson e Craven per il loro Scream, che resta, seppur con le dovute differenze, il modello più prossimo all’operazione di Whedon e Goddard.
Se infatti in mano a Craven l’ironia dello script non stemperava la ferocia della messa in scena né la visionarietà del maestro del New Horror, in The Cabin in the Woods non si lavora mai in direzione dello spavento, del trauma o della supremazia del dato visivo, né tantomeno verso un terrore allusivo. Una volta esaurite le trovate dello script, intrise degli immancabili riferimenti cinefili – lo chalet del bosco e la discesa in cantina sono chiari rimandi alla casa più celebre dell’horror, quella di Sam Raimi così come il bazar del benzinaio è un omaggio a Non aprite quella porta – il film non subisce alcuna accelerazione in chiave orrorifica. Diventa semmai un racconto d’avventura; un videogioco a livelli (la discesa in ascensore con la scoperta delle celle) che moltiplica le figure mostruose da eliminare, privandole di ogni qualità perturbante.
In realtà The Cabin in the woods, dietro il suo sarcasmo, potrebbe essere un film cupo, un vero requiem per l’horror cinematografico: la morte viene lasciata in fuori campo perché fin troppo vista e dunque priva di interesse. È un horror hipster che fa della nonchalance la sua specificità e arriva a rigettare le regole in nome di un sano menefreghismo, esplicitato nel finale.
Nella storia del genere Whedon mette un grosso punto a capo. Che sia il segnale per nuovo, originale capitolo?
(The cabin in the woods); Regia: Drew Goddard; sceneggiatura: Joss Whedon, Drew Goddard; fotografia: Peter Deming; montaggio: Lisa Lassek; musica: David Julyan; interpreti: Richard Jenkins, Bradley Whitford, Jesse Williams, Kristen Connolly, Fran Kranz; produzione: Metro-Goldwyn-Mayer, AFX Studios, Mutant Enemy, United Artists; distribuzione: M2 Pictures; origine: Usa, 2011; durata: 95’; webinfo: Sito Ufficiale
