RADIO AMERICA

Varcata la soglia del suo 81° compleanno, il Maestro è piú in forma che mai e non sembra affatto né stanco né annoiato dalla sua professione. Con l’entusiasmo di sempre, nascosto dietro una ieratica maschera di cortese alterigia, Robert Altman torna a cantare (in senso proprio, dato che la musica è una delle protagoniste del film) l’America che non c’è piú, ma senza rimpianti nè nostalgia, perchè i miti che ha fabbricato nel tempo sono destinati a non morire mai.
Il microcosmo eletto a rappresentazione della commedia umana a stelle e strisce questa volta è uno spettacolo radiofonico che effettivamente da trent’anni raccoglie milioni di ascoltatori, soprattutto dalla provincia, guidato instancabilmente da Garrison Kellor, presentatore e autore della sceneggiatura. Altman, che dichiara con distacco di aver conosciuto il programma solo attraverso sua moglie (ma c’è da credergli?), immagina che lo show debba chiudere perchè condannato dalle leggi di un mercato che non lo considera un valido investimento. La legge dello spettacolo recita invece “the show must go on” e l’impassibile maestro di cerimonie Kellor si comporta esattamente come al solito, leggendo lettere di ascoltatori, presentando ospiti e canzoni senza mai dimenticare i vari sponsor, siano lievito per biscotti o isolanti, come il capitano di una nave che affonda o un compassato padrone di un circo di periferia. Alto, dinoccolato, assolutamente inespressivo eppure irresistibile, è legittimo sospettare rappresenti l’alter ego ideale del regista, soprattutto nel suo pudore di fronte a qualsiasi forma di commozione e commemorazione: “non vorresti che alla tua morte qualcuno fosse triste e dicesse due parole?” gli chiede qualcuno indignato dal suo rifiuto di fare un discorso d’addio, “certo vorrei che qualcuno fosse triste, ma non vorrei che ne parlasse”, lui che dopo una vita a davanti ad un microfono sogna un lavoro in cui non sia necessario parlare.
Intorno a lui si muove o meglio brulica l’umanità di sempre: due sorelle cantanti country che vivono nel ricordo del loro passato, due irresistibili cowboys canterini, un detective che sembra uscito da un romanzo di Chandler, una ragazzina alla ricerca del padre, e poi tutto il mondo degli artigiani, tecnici, assistenti di studio, truccatori, una anziana signora che offre amorevolmente sandwich. Tutti presi da amori, litigi, dimenticanze, ricordi, sensi di colpa, rappresentati con l’occhio bonario e indulgente di chi ne è allo stesso tempo distante e vicinissimo, in cui anche la morte arriva come una consolazione anzichè come una violenza. Un piccolo mondo affollato perchè, spiega Altman, “piú gente c’è sul set, meglio mi sento, perchè posso discutere in continuazione di quello che succede, e dato che io stesso non conosco la sceneggiatura, immagino abbiano improvvisato un bel po’”. Altman si conferma grande regista non soltanto nella capacità di rappresentare il movimento e la frammentazione di una struttura corale, ma soprattutto nel rapporto con gli attori, nella capacità di ottenere da loro che scompaiano nel proprio personaggio, non solo i bravissimi caratteristi, ad esempio John C. Reilly, eterno “secondo piano”, ma anche i divi come Tommy Lee Jones, Woody Harrelson e soprattutto la straordinaria Meryl Streep, dalle insospettabili doti canore.
Al centro di tutto, infatti, c’è la musica country, la voce di una provincia americana che ancora esiste ed è mille miglia lontana dall’America che vediamo in tv, perchè è l’America della radio, naif e anche un po’ ridicola, quella, per intendersi, che credeva davvero a Orson Welles quando annunciava l’arrivo dei marziani.
(A Prairie Home Companion) Regia: Robert Altman; Sceneggiatura: Garrison Kellor; Fotografia: Edward Lachman; Montaggio: Jacob Craycroft; Interpreti: Garrison Kellor (G.K.), Meryl Streep (Yolanda), Lily Tomlin(Rhonda), Woody Harrelson (Dusty), John C. Reilly (Lefty), Kevin Kline (Guy), Yommy Lee Jones (Axeman), Lindsay Lohan (Lola); Produzione: Noir Productions;distribuzione: Medusa Origine: Usa 2006; Durata: 103’
