Razza bastarda
Con Razza Bastarda presentato nella sezione Prospettive Italia alla settima edizione del Festival del Cinema di Roma, Alessandro Gassman dimostra di aver saputo mantenere la linea di un progetto teatrale e cinematografico congiunto e saldamente basato sulla volontà di esplorare mondi oscuri, fatti di disadattamento e brutalità, all’interno di una società sempre più individualista e disattenta.
L ’impegnato e coraggioso regista ha infatti curato e diretto sia la messa in scena di Roman e il suo cucciolo, (vincitore del premio Ubu 2010 e traduzione del testo originale Cuba and his Teddy Bear di Reinaldo Povlon) sia la versione cinematografica di questa piece intitolata Razza Bastarda.
Gassman si e’ cimentato con un tema che avrebbe potuto scadere nel banale, ma ha saputo contenere questo rischio, donandoci un prodotto originale dal punto di vista stilistico con l’uso di uno scabro bianco e nero.
Questa scelta visiva rimanda ad un ambiente notturno ed arcano, ad un mondo di dannati, dove l’assenza di colore sembra voglia evocare la drastica mancanza di vita e gioia: l’impossibilità della felicità dei dannati.
Secondo punto a favore del film è il dinamismo delle scene, che però a volte perdono di efficacia a causa della loro durata e all’eccessivo descrittivismo che le caratterizza.
I protagonisti Roman, il romeno spacciatore per metà zingaro, e suo figlio Nicu, che l’uomo cerca disperatamente di tener fuori dall’ambiente, sono interpretati dallo stesso Alessandro Gassman e dal giovane Giovanni Anzaldo; in entrambi i casi i risultati recitativi sono notevoli, anche se il neofita regista avrebbe potuto evitare l’utilizzo di un accento tzigano, che a volte tradisce la sua origine risultando un po’ posticcio.
L’interpretazione che colpisce per l’assoluta naturalezza e verità è quella di Nadia Rinaldi, che rende perfettamente l’idea di una donna del sottoproletariato romano alle prese con la dura e squallida realtà in cui droga e morte sono all’ordine del giorno.
Il cucciolo, nel tentativo di emanciparsi da un padre che lo ama e cerca di proteggerlo, ma che inevitabilmente non rappresenta un esempio di vita, incappa in un altro girone infernale in cui la droga e il denaro la fanno sempre da padroni.
Nicu così si sostituisce al padre e la sua azione sarà doppiamente grave: sottrarrà la droga a Roman, cercando di piazzarla assieme al suo pseudo-maestro Talebano.
Nell’emulazione del padre la sua vita lo porterà all’autodistruzione, rivelandogli che forse quella razza bastarda che appartiene a Roman, non gli è stata trasmessa per discendenza - così fallirà miseramente, come se il destino gli avesse dato un segnale di dover abbandonare azioni a lui estranee.
Qui come in tutte le vere tragedie classiche - e Gassman ne è un esperto conoscitore - si ha la catarsi: lo zingaro decide di pagare per un figlio che non è riuscito a salvare dalla miseria, togliendosi la vita con un colpo di pistola, atto su cui il film si chiude.
Così come si sono socchiusi gli occhi degli spettatori che vanno via lasciando la sala affaticati da una narrazione un po’ troppo rallentata, ma che ha sortito l’effetto voluto: sentire la disperazione dell’uomo senza speranza.
(Razza bastarda); Regia: Alessandro Gassman; sceneggiatura: Alessandro Gassman, Vittorio Moroni; fotografia: Federico Schlatter; montaggio: Marco Spoletini; musica: Pivio e Aldo De Scalzi; interpreti: Alessandro Gassman, Madalina Ghenea, Michele Placido, Matteo Taranto, Nadia Rinaldi; produzione: Cucchini; origine: Italia, 2012; durata: 95’