Resident Evil: Extinction

Alice ha combattuto nei sotterranei, lungo i claustrofobici corridoi della Umbrella, con indosso un vestito color rosso sangue. È poi salita all’aria aperta, per addentrarsi nella notte blu di Racoon City e sfuggire agli esperimenti del Dottor Isaacs e alla distruzione nucleare. Da allora pochi anni sono trascorsi, ma il mondo intero è diventato una landa appassita, accecata da un sole luminoso che domina un deserto che tutto ha ricoperto: ed è su questo Nulla che regnano i non-morti. Per gli altri, i pochi viventi rimasti, l’unica via di scampo è la fuga continua: un eterno instancabile movimento, in cerca della benzina necessaria per sopravvivere, lontani dalle metropoli (o da quello che di loro resta) infestate dai mostri. Questa è la Wonderland in cui si muove la Alice interpretata da Milla Jovovich, una donna che ha scelto la solitudine, con addosso la paura che chi le si trova accanto sia destinato a morire, costantemente ri-cercata dallo sguardo onnisciente della Umbrella che la rivuole tutta per sé. Ma non potrà sfuggire al suo destino, ossia proteggere una carovana di pellegrini, rappresentanti di una nuova umanità - nella quale ritroverà i vecchi compagni Carlos Olivera (Oded Fehr) e L.J (Mike Epps) - che attraversa il deserto del Nevada, indicando ai pionieri la strada per una possibile Salvezza: quella che conduce alla lontana Alaska.
Il terzo episodio della saga ispirata dall’omonimo survival horror della Capcom, è a tratti godibile, ma, nel complesso, non sa essere del tutto convincente: non ha il pathos e lo charme visionario di un Silent Hill, ma neanche la freschezza low-budget del primo Resident Evil. Questo nonostante i tentativi di infondere una nuova linfa vitale alla saga e all’intero genere dello zombie-movie: per questo motivo si è operata una commistione di generi, dal western post-apocalittico in stile Mad Max, all’action-movie, fino alla virata verso la fantascienza primigenia, quella maggiormente intrecciata con l’horror. E lodevole è stato l’aver portato l’orrore sotto la luce del sole, cercando di oltrepassare i limiti del genere. Tutto è una continua citazione cinefila: da una Statua della Libertà insabbiata come nel sessantottino - eppure distopico - Il pianeta delle scimmie, fino a un attacco di corvi - vorticosamente ben girato, aggiungiamo - che è un esplicito omaggio a Gli Uccelli creati dal genio hitchcockiano. E l’intero film è stato di certo fortemente influenzato da Il giorno degli zombi, terzo episodio del ciclo che George Romero ha dedicato ai non-morti.
Il regista Russell Mulcahy, il cineasta che realizzò Highlander una ventina di anni fa, si è trovato particolarmente a suo agio nella realizzazione delle scene di azione; meno quando occorreva ingenerare tensione. Di certo non gli è stata di aiuto la sceneggiatura scritta da Paul W.S. Anderson (praticamente il creatore dell’intera saga di Resident Evil, ma anche autore del famigerato Alien vs. Predator), ricca di una insostenibile mancanza di introspezione psicologica, come di una qualsiasi caratterizzazione dei personaggi secondari, totalmete deficitaria sul piano del discorso politico, ma con, in compenso, un fugace e fin troppo sentito lascito sentimentale totalmente fuori luogo. La breve durata dona a gran parte del film una pregevole velocità d’esecuzione, fino, almeno, al finale che sconta un improvviso calo di tensione, deludente quando prometterebbe faville con la comparsa in scena del Mostro finale, il padrone dell’ultimo livello: il Tyrant.
Poche parole bastano per circoscrivere il lavoro di Milla Jovovich: eroica malinconica guerriera suo malgrado consapevole, padrona di indubitabili doti atletiche che non contrastano con una figura di ascetica magrezza, fascinoso angelo sterminatore che unisce femminilità e mascolinità, perfetta protagonista per un videogioco nato negli anni ’90.
Lo scenografo Eugenio Caballero (premio Oscar per Il labirinto del Fauno) ha affermato che una parte del suo lavoro è consistita nel ricreare «Interni molto tecnologici, ma senz’anima» per le scene ambientate nei sotterranei dell’Umbrella. A questo punto desta un sorriso il ’Product placement’ messo in atto attraverso inquadrature strategiche utili per pubblicizzare beni tecnologici realizzati dalla multinazionale del Sol Levante che distribuisce il film: qui un cellulare, lì un computer portatile. Certamente si vuole così ancor maggiormente sottolineare l’assidua presenza della tecnica nelle nostre vite, evidenziandone il lato ’riconoscibile e amichevole’: se questo può considerarsi come un momento di maggiore verosimiglianza all’interno del film - così come di una disfatta per la sua magia - è anche vero che non dovrebbe costituire una buona pubblicità in una pellicola che narra degli orrori perpetrati da una Corporation che ha tolto l’umanità agli uomini, facendoli regredire allo stato di zombi in preda agli istinti più primordiali.
(id.) Regia: Russell Mulcahy; soggetto e sceneggiatura: Paul W.S. Anderson; fotografia: David Johnson; montaggio: Niven Howie; musica: Charlie Clouser; scenografia: Eugenio Caballero; interpreti: Milla Jovovich (Alice), Oded Fehr (Carlos Olivera), Ali Larter (Claire Redfield), Iain Glen (Dottor Isaacs), Mike Epps (L.J.), Spencer Locke (K-Mart), Ashanti (Betty); produzione: Resident Evil Productions, Constantin Film Produktion GmbH, Davis-Films, Impact Pictures; distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia; origine: Australia, Francia, Germania, Gran Bretagna, U.S.A. 2007; durata: 95’; web info: sito ufficiale.
