Resistenza naturale

Non so se all’uscita di Resistenza naturale più persone andranno ad ubriacarsi nei pochi luoghi in città (Nossiter in persona ha fornito un paio di indirizzi a Roma, dopo l’anteprima) dove si trovano vini naturali, prenoteranno una visita guidata nelle magnifiche tenute La Cascina degli ulivi o La stoppa, Pacina o La distesa, o piuttosto non ci sarà qualcuno che, furente di rabbia tossica, non andrà a spaccare gli scaffali gonfi di prodotti cosiddetti "di qualità" a prezzi aristocratici in una delle molteplici sedi di Eataly. O tutt’e tre le azioni ribelli messe insieme.
Jonathan Nossiter, americano naturalizzato italiano, ha messo insieme in un’amena località senese, un gruppo di vignaioli a loro modo rivoluzionari e un direttore di Cineteca (la Cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli) e li ha lasciati dialogare. Questa spinta, questa schicchera documentaristica ha stimolato una discussione sulla tradizione del patrimonio cinematografico di un paese come l’Italia e sulla produzione del vino secondo regole antiche, nel rispetto della natura e della sua bellezza.
Resistenza naturale ha il pregio della semplicità e della genuinità della vita di campagna. Contagia un’aria familiare di scelta consapevole e benefica, che produce giovamento non solo in chi riceve i risultati della suddetta scelta, bevitori più o meno esperti, ma anche in chi li produce.
I vignaioli intervistati e resi protagonisti - Corrado e Giulia Dottori, Valeria Bochi, Giovanna Tiezzi e Stefano Borsa, Elena Pantaleoni, Stefano Belotti - sono persone schiette e vere, che rischiano sulla loro pelle l’estremismo di restare ai margini, ai margini di una società del consumo, del guadagno ad ogni costo. I loro vini sono stati tutti espropriati del "doc", marchio di denominazione di origine controllata, che per un vino dovrebbe essere sinonimo di pregio "per effetto dell’incidenza di tradizionali fattori naturali, umani e storici". Gli è stato negato perché scegliendo di non usare solfiti e agenti chimici lievitanti, preferendo una maniera più pura, all’antica, non sottostando alle regole largamente riconosciute dalle più grandi aziende vinicole, fanno paura.
Realtà piccole ma di valore, che resistono a quello che c’è nascosto sotto l’apparente modernità: dal dopoguerra il vino in Italia si fa con sostanze chimiche. E chi si arricchisce se non società che non hanno nessuna attenzione al prodotto né ai fruitori né all’ambiente dove viene coltivata la vite?
Particolarmente forte la scena in cui Stefano Bellotti, forse il personaggio più integralista, vanga alla mano, confronta due zolle di terra delle due vigne prossime, separate da un piccolo sentiero incolto, la sua e quella del suo vicino di azienda, anch’egli viticoltore ma, a differenza di Stefano, normale, non naturale, che tratta il terreno con disboscanti, pesticidi e altre sostanze chimiche.
La prima zolla è di colore marrone intenso, si sgretola al tatto, è abitata da insetti, radici, erba. La seconda è visibilmente compatta tipo mattone, grigiastra, secca, non porosa: come può crescere qualcosa di buono in quell’arido humus? Il regista, operatore lui stesso, è esterrefatto quanto lo spettatore e, spontaneamente, pronuncia le parole chiave di tutto il pensiero che scorre sotterraneo per tutti gli ottantacinque minuti di pellicola: "life and death".
Scegliamo life, naturalmente.
(Resistenza naturale); Regia: Jonathan Nossiter; sceneggiatura: Jonathan Nossiter; fotografia: J Jonathan Nossiter, Paula Prandini; montaggio: Jonathan Nossiter;produzione: Goatworks Films, Les Films du Rat, Cineteca del Comune di Bologna;distribuzione: Lucky Red; origine: Francia/Italia, 2014; durata: 85; webinfo: Lucky Red
