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Robin Hood

Pubblicato il 14 maggio 2010 da Luca Lardieri


Robin Hood

Ormai è fatto noto e assodato che Ridley Scott e le fedeli ricostruzioni storiche sono due mondi distinti e paralleli, messi in relazione da un unico assioma: non si incontreranno mai. Infatti, dopo gli innumerevoli errori storici del suo film più famoso, Il Gladiatore, e di quello più noioso, Le crociate, basta solo la primissima sequenza di Robin Hood in cui ci viene mostrata la morte di Re Riccardo Cuor di Leone impegnato nella “Guerra Santa” e, dunque, lontano dalla sua amata Inghilterra, per capire che almeno da questo punto di vista i fan di Sir Scott potranno dormire sonni tranquilli. Per il resto risulta abbastanza difficile capire cosa possa aver spinto il regista britannico e il suo attore feticcio, Russell Crowe (nella doppia veste di produttore e protagonista) ad accettare l’ennesima trasposizione cinematografica del bandito che ruba ai ricchi per dare ai poveri.

Il film è un puzzle abbastanza confuso che unisce le epiche immagini de Il gladiatore a quelle tediose de Le crociate. Mancano la goliardia e il fascino della pellicola del 1938 diretta da Michael Curtiz e William Keighley e il carisma del leggendario Errol Flynn, la bellezza formale e la strepitosa sceneggiatura di Robin e Marian (1976) del geniale Richard Lester e addirittura la simpatia e il romanticismo del Robin Hood, principe dei ladri (1991) del modesto Kevin Reynolds e dell’allora amatissimo Kevin Costner (e soprattutto del bravissimo Morgan Freeman). Nella versione del duo Scott/Crowe, il principe dei ladri è troppo simile a Massimo Decimo Meridio, troppo risoluto, troppo serio. Distante anni luce dall’immagine di un paladino di pura fantasia e ancor di più distante da quella di un personaggio dal carisma storico che riesca a risultare credibile. Se poi si analizzano alcune sequenze e si considera l’indiscussa abilità di Ridley Scott di portare lo spettatore all’interno dell’azione senza aver (ancora) bisogno di utilizzare occhiali 3D, il film può anche divertire nella sua spettacolarità, ma chi conosce ed ama questo regista, cimentatosi con quasi tutti i generi del cinema classico (dalla fantascienza alla commedia) non potrà fare a meno di chiedersi che fine abbiano fatto il suo estro e la sua genialità, capace da Il gladiatore in poi (escluse, per quanto ci riguarda, le due gemme regalateci con Black Hawk Down e il sottovalutato Matchstick Man) di riciclarsi all’infinito o di annoiare tremendamente.

Detto ciò, va comunque messa in risalto la fin troppo spettacolare battaglia finale del film che, quasi in stile Scary Movie, omaggia lo sbarco in Normandia di Salvate il soldato Ryan (alcune inquadrature sono davvero simili), mostrandoci però l’invasione dell’Inghilterra da parte delle truppe francesi e la straordinaria resistenza opposta dagli indomiti e orgogliosi guerrieri/arcieri inglesi. Qui sono i “cattivi” ad invadere i “buoni” e non viceversa. Insomma un’apertura piuttosto fiacchina per questa sessantatreesima mostra del cinema di Cannes, con un film, che tra le altre cose è uscito sul mercato cinematografico quasi in contemporanea mondiale, invadendo, è il caso di dirlo, le sale italiane con oltre settecento copie.


CAST & CREDITS

(id.); Regia: Ridley Scott; sceneggiatura: Brian Helgeland; fotografia: John Mathieson; montaggio: Pietro Scalia; musiche: Marc Streitenfeld; interpreti: Russel Crowe, Cate Banchett, William Hurt, Max von Sydov; produzione: Universal Pictures; distribuzione: UIP; origine: USA/UK, 2010; durata: 131’.


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