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Mistress America

Pubblicato il 14 aprile 2016 da Fabiana Sargentini
VOTO:


Mistress America

Tracy (Lola Kirke) ha vent’anni, è bella ma goffa, impacciata forse per colpa di una famiglia disgregata. Si ritrova matricola a New York, una formichina in un oceano di pazzi in corsa. Frequenta le lezioni ma non interviene. Scrive racconti ma non riesce a farsi ammettere al circolo letterario più esclusivo, quello che, per comunicare ad uno studente di essere stato preso, un gruppo si introduce di notte nella stanza del dormitorio e sveglia il prescelto a torte in faccia.
Brooke (Greta Gerwig) è bionda, alta, frenetica come una tipica nuiorchese. Nevrotica com Annie Hall ma con trent’anni di politica, terrorismo, crisi personali, lutti tutti sulle apalle. Canta in una band, da lezioni di spinning la mattina, ripetizioni di matematica il pomeriggio, ha il sogno di aprire un ristorante che si chiami "Da mamma", per ricreare un’atmosfera familiare e perché adora il gioco di parole "andiamo tutti a mangiare da mamma". Abita in un loft con Stavros, il fidanzato greco che non si vede mai, con il bagno in comune al piano. Conosce tutti, ride con tutti, sprizza energia e allegria e pacificazione. Ma come tutte le bambole, da fuori sono in un modo dentro in un altro. Mistifica, sovraespone se stessa, millanta: è una figlia del suo tempo.
Stacy entra in contatto con Brooke tramite un fatto strano (usuale in quest’epoca di molti matrimoni in una sola vita): la madre (atea) dell’universitaria ambiziosa scrittrice sposerà il padre (vedovo religiosissimo) della it girl della city. Questa ipotetica futura sorellanza renderà le ragazze vicine, amiche, bisognose l’una dell’altra, parti di un morboso rapporto sanguisuga, difficile stabilire una parità tra "dare e avere".
Commedia scoppiettante, verbosa e intellettuale, scritta perfettamente dal regista Noah Baumbach e dalla protagonista Gerta Gerwig (sua attrice feticcio) , l’intreccio e gli alti e bassi della vicenda tengono tensione: una prima parte più spumeggiante, montaggio serrato, battute a macchinetta, un sorriso, una risata, un ghigno sarcastico; la seconda parte con impianto più teatrale, la scena svolta tutta in un interno bianco, la villa lussuosa in campagna di un ex di Brooke, entrata e uscita di personaggi collaterali tutti ben pennelllati, risoluzioni drastiche, catartiche, a volte traumatiche. La voce fuori campo di Stacy declama la storia attraverso il racconto che la ragazza ne ha fatto per essere accolta, con successo, nell’accolita di intellettuali da torta slapstick (da cui uscirà disgustata con l’intenzione di fondare un suo proprio club letterario personale).
Un film sulle aspettative, sui sogni, sul trovare un proprio posto nel mondo, sul pretendere di essere molto più di quanto ci si senta di valere e se questa attitudine porti frutti o alla fine solo dolore. Atmosfere tra Hal Hartley, meno spaesato, e Woody Allen, meno snob. Tipicamente Baumbachiano: perfetto per cui ha amato Frances Ha e Giovani si diventa.
Battute memorabili: "Dopo i trenta il desiderio aumenta ma diminuiscono le possibilità" (applicabile ad ogni campo, lavorativo, sentimentale, sessuale); "Non esiste tradimento a 18 anni: tutti si toccano con tutti tutto il tempo a quell’eta" (pronunciato con una certa nostalgia).


CAST & CREDITS

Regia: Noah Baumbach; sceneggiatura: Noah Baumbach, Greta Gerwig; fotografia: Sam Levy; montaggio: Jennifer Lame; musica: Dean Wareham & Britta Phillips; interpreti: Greta Gerwig, Lola Kirke, Matthew Swear, Jasmine Cephas-Jones, Heather Lind; origine: Stati Uniti, 2015; durata: 84 minuti


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