Venezia 75 - Roma - Concorso
Girato in un bianco e nero che mette lo spettatore a proprio agio, ma al tempo stesso segna un netto allontanamento dal contemporaneo diventando un filtro davanti all’occhio del passato e della memoria - Roma (non la capitale italiana, bensì un quartiere di Città del Messico) con la regia di Alfonso Cuarón, segue le vicende di Cleo (Yalitza Aparicio), di discendenza mixteca, bambinaia a servizio di una famiglia benestante composta da Sofia (Marina de Tavira), una madre tesa e melodrammatica, da un padre medico assente e da quattro figli dai cinque ai quattordici anni.
Dei titoli di testa lentissimi su inquadratura fissa (mattonelle e acqua saponata che si spande e poi velocemente va via, pulisce gli escrementi canini, disinfetta, diventa nera) dichiarano un tempo dilatato, scandito dai silenzi più che dalle parole, da simboli più che da esternazioni manifeste. L’elemento acquatico e quello di calamità naturale scandiscono il tempo narrativo della pellicola: quando piove grandine nel cortile i bambini ci giocano come pazzi a dispetto di quello che diranno i grandi; le onde del mare sono alte e pericolose e per questo attraenti, dentro le quali Sofia e Paco rischiano di annegare, salvati da Cleo che non sa nuotare; mentre la giovane incinta osserva da dietro un vetro il reparto di neonatologia le pareti tremano a causa di un terremoto e le infermiere portano via i bebè tranne quelli in incubatrice che vengono sommersi da detriti; la notte di capodanno durante i festeggiamenti in una masseria di amici americani scoppia un incendio nel bosco e i partecipanti alla festa si ritrovano coi secchi in una mano e il flûte di champagne nell’altra per tentare di spegnerlo; si rompono le acque a termine gravidanza durante una manifestazione popolare che sfocia in violenza e rende complesso e pericoloso il raggiungere l’ospedale. La natura vuole la sua parte e vince sempre. Assistiamo ad una storia di matriarcato di matrice totalmente autobiografica nell’esperienza personale del regista che rispetta i caratteri senza nostalgia secondo un punto di vista che è quello infantile del bambino di allora, sedimentato nello sguardo della maturità di un uomo di cinquantasei anni.
Regia potente visivamente, girato con tecnica superba sempre funzionale, mai sbavata. Il conflitto di classe si risolve attraverso personaggi consapevoli dei confini tra di loro ma fortemente empatici gli uni verso gli altri. Il parallelo della solitudine delle due donne, la domestica e la padrona, ognuna abbandonata a suo modo dal compagno, suona delicato e felice: l’india di poche parole ma di caldi abbracci, la signora sgarbata nei momenti clou, i bambini più affettuosi con la tata che con la madre sono disegnati in maniera forse non originale ma efficace. La separazione di classe è supplita dall’amore e dal ricordo di chi ha amato entrambe le donne, una in quanto madre, l’altra come se lo fosse.
(Roma); Regia: Alfonso Cuarón; sceneggiatura: Alfonso Cuarón; fotografia: Alfonso Cuarón; montaggio: Alfonso Cuarón, Adam Gough; musica: Lynn Fainchtein; interpreti: Yalitza Aparicio, Marina De Tavira, Nancy Garcia, Jorge Antonio, Veronica García, Marco Graf, Daniela Demesa, Carlos Peralta; produzione: Gabriela Rodríguez, Alfonso Cuarón, Nicolás Celis, Esperanto Filmoj, Partecipant Media; distribuzione: Netflix; origine: Mexico, 2018; durata: 135’