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RomaFictionFest

Pubblicato il 3 luglio 2007 da Fabiana Proietti


RomaFictionFest

Il RomaFictionFest è partito. In pompa magna, non c’è che dire. Tra le tante mancanze, inevitabili per un festival al suo debutto, non si può proprio annoverare la carenza di glamour o la capacità di attirare l’attenzione, comune al neonato festival dedicato alla tv come al suo fratello maggiore, ma soltanto di un anno: la Festa del Cinema di Roma.
Entrambe le manifestazioni consentono di captare al volo l’aria di rinnovamento o per lo meno la curiosità, la voglia da parte della Capitale di non rimanere indietro rispetto ai tanti festival, dedicati al cinema come al piccolo schermo, germogliati negli ultimi anni lungo tutta la penisola.
E’ innanzitutto la voglia di riscatto di Roma, il desiderio di riappropriarsi di un ruolo, se non esclusivo, almeno di primo piano, come città del cinema e delle nuove realtà televisive, il comune denominatore alla base delle due giovani manifestazioni.
La robusta presenza di una stampa internazionale non può che inorgoglire gli organizzatori che hanno promosso un programma vastissimo (e sicuramente non sempre all’altezza del prestigioso benché giovane contesto) che tiene conto delle diverse realtà nazionali. Dalla fiction italiana, il cui numero è ovviamente considerevole, alla serialità francese, con una predilezione per biopic e fatti di cronaca, a quella tedesca – tra cui spicca il tributo all’opera di Margarethe Von Trotta, di cui vengono riproposti cinque lavori per la tv tedesca dal 1997 al 2006 – alla comedy inglese di Coupling o, tra le altre, Blackhadder goes forth, con uno Hugh Laurie pre Dr. House.
E ancora: serial che arrivano dall’Oriente – Cina e Giappone – o dalla Russia, ad indagare i cambiamenti repentini vissuti dai rispettivi Paesi partendo da un punto di vista individuale ed introspettivo, secondo una strategia narrativa che vede ‘la storia nella Storia’, rivelatasi vincente per favorire l’identificazione degli spettatori e adottata anche dalla maggior parte delle fiction nostrane.

Se dunque il Telefilm Festival milanese pare concentrarsi esclusivamente sulla serialità americana, il RomaFictionFest sembra voler dare un’impronta assai diversa alla manifestazione: quella di un contesto sensibile alle nuove realtà televisive, evidente anche nella dettagliata suddivisione in categorie. Non solo serial veri e propri ma anche film per la tv, miniserie e docudrama. Un focus ampio e variegato su tutto ciò che il piccolo schermo ha prodotto in questi anni.
Se in Italia, dopo anni di oblio e di varietà, l’attenzione verso la fiction televisiva è rinata e fiorita in maniera esponenziale gran parte del merito è da attribuire al’eccezionale successo ottenuto da La meglio gioventù di Giordana, presentato persino al Certain Regard di Cannes 2003. La sua riproposizione in sala, seguita da milioni di spettatori, ha aperto la via ad un nuovo possibile tipo di fruizione per la serialità, godibile non solo in tv, ma anche sul grande schermo.
Del resto, in questa rubrica ci siamo spesso ritrovati ad affermare la totale competitività di alcuni esperimenti televisivi rispetto a un cinema d’intrattenimento dalla vena appannata. E se, da un lato, è chiaro come un prodotto televisivo non possa aspirare alla libertà del cinema d’autore, legato com’è a una logica commerciale, fatta di sponsor e pubblicità (troppo ingenuo sarebbe aspettarsi il contrario), ciò non toglie che possa trovare tra le tante coercizioni uno spazio da sfruttare in maniera originale e peculiare.
Se grazie alla programmazione su tv pubbliche e private abbiamo imparato ad apprezzare e amare la nuova serialità statunitense, che conquista per dispiego di mezzi tecnici ma soprattutto per innovazioni narrative, l’obiettivo del RomaFictionFest pare essere quello di spalancare una finestra su un mondo assai più ampio ma altrettanto interessante e coinvolgente. Un obiettivo difficile ma non impossibile da centrare.
Con un solo dubbio: che quel glamour di cui sopra possa ‘fagocitare’ la vera essenza della manifestazione; che, insomma, la presenza di tanti divi televisivi nostrani – dopo le passerelle abusive di Venezia e Festa di Roma, qui finalmente protagonisti – finisca per inficiare il carattere più serio – quasi antropologico oltre che estetico – della rassegna.


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